CUTTER ITALIANO

Anche se per molti questa imbarcazione è sinonimo di barca da diporto,  in origine i cutter avevano vari altri impieghi.

La nostra perplessità derivava dal fatto, che nella marineria italiana furono denominati cutter tipi diversi fra loro, sia come scafo che come alberatura, e diversi anche dai prototipi – originari, come vedremo, dell’Europa del Nord – che debbono esser considerati i “veri” cutter.

Il tema è comunque interessante, data la versatilità di questa imbarcazione, usata dai contrabbandieri e dalle dogane, per la pesca e per lo sport velico, dalle marine militari e per il trasporto di merci; praticamente in ogni campo delle attività marittime. Ci ha inoltre convinti la disponibilità di numerose foto, prese molti anni fa prima del completo disfacimento del relitto di una bella barca, che riteniamo fosse uno degli ultimi cutter, originario forse della Liguria, o forse dell’isola d’Elba. E, siccome questa serie di articoli ha l’ambizione di formare, col tempo, una rassegna il più possibile completa delle barche tradizionali, della loro storia e delle loro origini, anche ai cutter occorreva riservare adeguata attenzione.

Sappiamo tutti che il cutter è originario dell’area nordica, e sul suo aspetto agli inizi siamo abbastanza ben informati, grazie soprattutto all’iconografia.

Celebri artisti dell’Ottocento mostrano scafi e velature di questa imbarcazione, sicché possiamo affermare che il tipo “cutter” fosse molto ben definito: un’imbarcazione con tagliamare quasi verticale, poppa a specchio molto inclinato, sporgente fortemente oltre il dritto, asta di fiocco retrattile, quasi orizzontale, passante per un foro nella murata; un solo albero prolungato da un albero di gabbia, crocetta, grande randa aurica su un boma sporgente ben oltre il coronamento di poppa, fiocco, trinchettina e controranda; quest’ultima era inferita talvolta su un pennone al terzo, tal’altra era invece triangolare. C’era inoltre (e questa è proprio una caratteristica del cutter originario) un pennone da vela quadra che normalmente veniva tenuto, privo di tela, a 5-6 metri dal ponte. In caso di bisogno, si inferiva su questo pennone una vela quadra di fortuna, utilissima per fuggire davanti al vento con tempo cattivo.

A questa andatura, gli antichi autori riferiscono che il cutter, con la sua poppa slanciata e lo specchio fortemente inclinato portava meravigliosamente sulle onde, anche le più ripide.

Forse la poppa degli yacht moderni, prolungata molto al di là dell’asse del timone, deriva da questa caratteristica forma degli antichi cutter.

Molti si sono posti la questione dell’origine di queste imbarcazioni, ma una risposta definitiva non è stata ancora data. Certo è che, nel 1600, nel Mare del Nord veleggiavano molti tipi di barche che possono esser visti come gli “antenati” dei cutter. Ma per inquadrare la questione correttamente bisogna andare ancora più indietro nel tempo. Ricordiamo che le vele di taglio, nei tempi antichi, esistevano solo nel Mediterraneo, dove è provata l’esistenza della vela latina e della vela a tarchia nell’età greco-romana.

In area atlantica, solo i portoghesi usarono vele di taglio (nella forma della vela latina) subito dopo la riconquista del paese dell’Islam (XII secolo). Nei Paesi del Nord, invece, troviamo le prime tracce dell’uso delle vele di taglio all’inizio del 1400 nei Paesi Bassi. Inizialmente si trattava di vele a tarchia: una delle questioni irrisolte della storia della nave è, appunto, se la vela a tarchia dei Paesi bassi sia stata autonomamente invenzione locale, importazione dal Mediterraneo o addirittura reminiscenza di tecniche romane.

Comunque, il tipico jaght degli olandesi e fiamminghi, già pienamente sviluppato nel 1600, portava una grande vela a tarchia, una trinchettina ed un fiocco, più una vela quadra di gabbia. E’ nota la storia dell’introduzione dello yacht in Inghilterra: uno jaght fu donato dall’Ammiraglio della Provincia di Amsterdam a Carlo II, quando questi fu proclamato Re d’Inghilterra (1660) e terminò il suo esilio, trascorso, appunto, in Olanda.

Questo yacht, il “Mary”, una barca di circa 16 metri di lunghezza, fu il prototipo di molti yacht inglesi, perché i cantieri del Tamigi, stimolati dall’entusiasmo della famiglia reale e poi della nobiltà, lo presero a campione per le loro costruzioni. Quasi subito gli stessi cantieri inglesi cominciarono a migliorare le qualità nautiche dei loro prototipi, tenendo conto delle diverse condizioni del mare e dei fondali d’Inghilterra.

Per completare questi brevissimi cenni su una materia che meriterebbe una trattazione ben più completa, aggiungiamo che l’attrezzatura dello jaght olandese sopra descritta era propria di molte altre imbarcazioni dei Paesi Bassi; e che in Inghilterra essa fu usata non solo sugli yacht piccoli e grandi, ma su numerose altre imbarcazioni da pesca e da trasporto, per esempio sloop e smack. Sarebbe improprio quindi affermare che i cutter derivino dallo jaght/yacht, tuttavia appare certo che, per quanto riguarda l’attrezzatura velica, essi derivano dalla stessa “famiglia” che comprende lo yacht.

Infatti, se sostituiamo alla vela a tarchia una randa aurica avremo un’attrezzatura del tutto simile a quella che il cutter portava nell’Ottocento. Rimane da capire come queste barche di stile olandese, abbondanti di baglio, con carena piatta, larga poppa a specchio quasi verticale, sporgente molto poco dal dritto, e velatura non proprio sovrabbondante, si siano evolute negli affilati cutter che conosciamo.

Il termine cutter non è molto antico in Inghilterra. La prima menzione da noi reperita risale al 1740. La terminologia era confusa, in quanto nella marina inglese del 1700 cutter designava anche un’imbarcazione di servizio delle navi maggiori, vascelli e fregate, più piccola delle long boats. Non sappiamo se questo significato del termine cutter sia anteriore a quelle che qui interessa, di imbarcazione autonoma. Per quanto riguarda quest’ultimo, pare che certe imbarcazioni, usate a preferenza dai contrabbandieri, fossero denominate cutter. I contrabbandieri avevano certo molti buoni motivi per tentare di affinare le doti di velocità, e soprattutto l’attitudine a stringere il vento, delle barche di stile olandese. Forse il nome cutter risale a quest’epoca, e forse l’origine del termine è proprio quella che a noi pare troppo ovvia, di scafo “tagliente” (to cut, inglese = tagliare).

Per contrastare il contrabbando, l’amministrazione delle dogane dovette adattarsi a far costruire barche simili a quelle avversarie, e nacquero i famosi Revenue Cutter, veloci e ben armati, perché nelle acque inglesi in quel turbolento periodo incrociavano anche i corsari di molte nazioni (perfino algerini). Con i corsari, ufficialmente nemici, i contrabbandieri intrattenevano talvolta inconfessabili rapporti, ma questa è un’altra storia.

Insomma, pare che alla gara fra contrabbandieri e dogane sia da attribuire molta parte del merito del progressivo affinamento delle linee degli scafi dei cutter, e dell’aumento della loro superficie velica. Certamente, la popolarità di queste imbarcazioni tra i diportisti risale all’ultimo quarto del 1700, quando iniziarono in Inghilterra regolari regate di yacht, alle quali non partecipava più la sola nobiltà come ai tempi di Carlo II e di suo fratello. Non era raro il caso che imbarcazioni di contrabbandieri sequestrate finissero la loro carriera come yacht. Poi si cominciò a costruire cutter appositamente per le regate.

L’apparizione del cutter in Mediterraneo è stata messa in connessione, da De Negri, con il blocco navale imposto dagli inglesi alle coste degli stati incorporati nell’impero napoleonico o di questo alleati. L’ipotesi ci sembra plausibile. Per le squadre di blocco inglesi, l’interdizione della navigazione commerciale degli stati nemici era in fondo un compito analogo alla repressione del contrabbando, e l’impiego di unità leggere del tipo dei Revenue Cutter doveva apparire il mezzo ideale.

Più difficile dire, invece, per quali motivi il cutter sia stato adottato dagli armatori mercantili del Mediterraneo. Forse il fattore “moda” può aver avuto qualche peso: in Mediterraneo non mancavano certo imbarcazioni di pari caratteristiche. In Italia, comunque, questa adozione fu tutt’altro che generale, e la diffusione del cutter rimase abbastanza limitata. Nel 1887, per esempio, ne furono costruiti 11 in tutta Italia, per una stazza media di 22,5 tonnellate; nello stesso anno, furono costruite 79 bilancelle e 42 trabaccoli. La tendenza, tuttavia, era all’incremento della costruzione di cutter in proporzione agli altri tipi: ne esistevano in Italia 271 nel 1897, contro i 111 di dieci anni prima. Nel 1905 ne troviamo ben 368 (ma esistevano 1298 bilancelle e 1280 trabaccoli, per non citare che i tipi più numerosi).

I porti di armamento principali del cutter erano Napoli (43 unità nel 1897), Livorno (40), Genova (31), Trapani (30), Portoferraio (27) e Gaeta (16). Notiamo una certa preferenza dei toscani per questo tipo di imbarcazione.

Occorre tener presente, comunque, che queste imbarcazioni registrate ufficialmente come cutter differivano spesso radicalmente dai “veri” cutter. In primo luogo, nella nostra marineria si ritenne spesso opportuno aggiungere un piccolo albero di mezzana all’estrema poppa, realizzando così un’attrezzatura che propriamente dovrebbe essere definita a yawl.

Inoltre, furono chiamate cutter imbarcazioni (con o senza albero di mezzana) che avevano la poppa rotonda o a cuneo, anziché a specchio. Fra i cutter elbani si incontravano più spesso esemplari con la poppa a cuneo o con l’alberetto di mezzana. La ricostruzione che presentiamo, eseguita sulla base di un anonimo relitto, fotografato accuratamente e misurato approssimativamente mentre marciva sulla spiaggia di Voltri, rappresenta anch’essa un cutter anomalo: poppa a cuneo, bompresso al posto della semplice asta di fiocco, e soprattutto niente boma, non corrispondono alle caratteristiche del cutter classico. Siamo arrivati ad attribuire il relitto al tipo cutter per esclusione, e perciò con qualche margine di dubbio.

All’estero, pare che la tradizione venisse rispettata più strettamente e che le barche chiamate cutter fossero legittime discendenti dei cutter originari. Questo ci risulta particolarmente per i cotre francesi.

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