LA GOLETTA

La goletta fu una delle più belle imbarcazioni fra le tante che popolavano i nostri mari all’epoca della marina a vela.

La sua popolarità tra gli armatori era grande soprattutto alla fine dell’Ottocento, quando la goletta ed i tipi da essa derivati rappresentavano gran parte del naviglio di piccolo e medio tonnellaggio battente bandiera italiana, perché essa era manovriera, veloce e poco dispendiosa, soprattutto per ciò che concerneva l’attrezzatura velica e l’equipaggio.

La sua origine è certamente americana ma, come vedremo, il tipo non è stato “inventato” in America. La denominazione nostrana “goletta” proviene invece dalla Francia e corrisponde dal punto di vista semantico all’inglese “schooner”. Allo “schooner” si deve infatti guardare volendo indagare sull’origine di questo tipo di nave. Il nome deriverebbe da un verbo gaelico “scoon”, ancora usato nel dialetto scozzese nel 1700, che significa rimbalzare sull’acqua (come farebbe un sasso piatto lanciato rasente alla superficie dell’acqua). Secondo una storiella che molti autori ancora riportano, nel 1713, a Gloucester nel Massachusetts, una certa imbarcazione sarebbe stata chiamata “schooner” perché al varo sembrò rimbalzare sull’acqua.

Certa è invece la derivazione gaelica del francese “goelette”, da “gwelan” che significa gabbiano. Una barca dunque che sembrava volteggiare sulle onde dell’Oceano, agile e sicura come un gabbiano.

Ma vediamo un po’ la storia della nave, a parte l’origine di queste poetiche denominazioni. Dobbiamo tenere presente che lo schooner tipico degli inizi era un due-alberi con due vele auriche ed un fiocco; la vela di maestra era più grande di quella di trinchetto. Ora, barche a due alberi di questo genere esistevano in Inghilterra già verso la fine del 1600, e in Olanda qualche decennio prima. Erano denominate genericamente “yacht” o “sloop”. Queste sono dunque le antenate degli schooner americani; ma per attribuire il giusto merito ai cantieri del New England, bisogna aggiungere che quegli “yacht” anglo-olandesi avevano forme piene e tondeggianti, mentre pare che già i primi “schooner” americani fossero di linee molto affilate. Gli “yankee” non cambiarono dunque solo il nome.

L’impiego principale delle golette nell’allora colonia britannica, era la pesca al largo, sui Grand Banks, e pare che i pescatori gareggiassero nel rientrare in porto, per spuntare i migliori prezzi per il pescato; ma molte golette trovarono impiego come pilotine, e anche qui era utile avere un’imbarcazione veloce, perché l’ingaggio come pilota toccava alla barca che prima arrivava sotto bordo la nave che doveva entrare in porto.

Più tardi gli schooner figurarono tra i tipi più usati nei trasporti per via di mare tra le colonie della costa orientale degli attuali Stati Uniti, fra le quali le strade erano malagevoli o ancora inesistenti; ma gli schooner si specializzarono anche nel contrabbando con i possedimenti spagnoli a Sud, in barca alla Royal Navy. Quest’ultima attività, ovviamente, deve aver favorito lo sviluppo delle migliori qualità veliche.

Il due-alberi a vele auriche, esportato in America dagli inglesi, tornò in Europa molto trasformato e sotto il nuovo nome di “schooner”, verso la metà del ‘700. Pare che la marina militare abbia svolto in questo un certo ruolo. Al tempo della guerra dei setti anni (1756-63) la Marina inglese acquistò infatti in America diversi schooner costruiti da privati: il primo fu il “Sally”, varato nel 1754 nella baia del Massachusetts, che probabilmente è stata realmente il luogo d’origine di queste imbarcazioni nella versione “americana”. Ma può anche darsi che la marina mercantile abbia preceduto quella militare nel far conoscere il tipo in Europa.

Non sappiamo di preciso quando fu costruita la prima goletta italiana, ma presumiamo che ciò sia avvenuto nell’ultimo quarto del 1700.

Come per il cutter, pensiamo che la spinta per la diffusione presso i nostri cantieri l’abbiano data le operazioni della flotta inglese nel Mediterraneo, nel corso delle incessanti guerre combattute nella seconda metà del ‘700.

Non che la Marina inglese fosse l’unica ad usare questo tipo di nave: per esempio, nella Marina francese esistevano verso il 1780 tre golette armate di 8 cannoni. Ma non sembra che il tramite attraverso il quale il tipo si è diffuso nella nostra marina mercantile siano stati i francesi o gli spagnoli. Numerosi documenti italiani riportano infatti il termine originale inglese “schooner” per quanto ostico questo potesse allora sembrare da pronunciare e da scrivere. Del resto, i liguri non provarono nessun imbarazzo a coniare il termine “scuna” col quale per lungo tempo denominarono queste navi.

Una statistica del 1815 riporta la presenza di 6 golette in Liguria, e verso la stessa epoca ce n’erano diverse anche nella marineria siciliana. A quell’epoca c’era una certa confusione nella terminologia, e in alcuni documenti si trova menzionata la goletta accanto allo schooner; come se fossero imbarcazioni diverse: sembra che alcuni chiamassero “goletta” quello che oggi noi definiremmo goletta a gabbiole, e “schooner” il tipo attrezzato con sole vele auriche.

La goletta di cui riproduciamo i piani era lunga poco più di venti metri; lo scafo presenta proporzioni che dovevano farne un veliero abbastanza veloce, ma stabile: il rapporto tra lunghezza e larghezza è pari a 3,5 mentre il baglio massimo misura 2,33 volte il puntale. Il pescaggio era limitato, circa 2,30 metri a pieno carico, e questo permetteva l’accesso anche agli approdi minori. La suddivisione dei volumi sottocoperta era quella classica: l’alloggio dell’equipaggio a prua ed una cabina per il comandate o armatore, ed eventualmente il secondo, a poppa. Tutto il resto dello spazio era riservato al carico. Sul ponte, a prua, un argano orizzontale per salpare l’ancora. Le gru di capone sono prolungate fino ad incontrarsi sull’asse di simmetria con una pazienza, il cui piede era indentato nella controruota. Sulle due gru termina una piccola piattaforma, elevata meno di 80 cm sulla coperta, la cui utilità ci sembra dubbia: ma a qualcosa doveva pur servire, dato che la stessa sistemazione si trova su molte navi di quel periodo. La velatura è esclusivamente di taglio: due grandi rande, controrande, trinchettina, due fiocchi ed un controfiocco.

La nave fu costruita nel 1888 nel cantiere Picchiotti di Limite sull’Arno.

Sullo stesso disegno, con marginali variazioni, furono costruite altre due navi, attrezzate a brigantino-goletta, il “Nereide” ed il “Cauto”.

Il nome dato alla nostra goletta fu “Buona Madre”. Primi armatori ne furono i fratelli Giobatta e Giuseppe Bregante di Riva Trigoso, poi ci furono vari trasferimenti della proprietà, e la goletta ad un certo punto fu ribattezzata “Makatea” e adattata a barca da diporto. A questo scopo fu munita di una vistosa tuga a centro-nave, che certo non ne migliorava l’aspetto, e costrinse anche a modificare l’attrezzatura velica. La randa aurica al trinchetto fu sostituita da una vela di straglio, ed al trinchetto fu data un’attrezzatura quadra, con un trevo e due vele di gabbia; il che secondo la nomenclatura nautica corretta, fece dell’ex “Buona Madre” un brigantino-goletta.

La nave fu adibita infine nel Mar Rosso a base per la pesca subacquea, e sembra che là abbia finito la sua carriera, abbandonata non molti anni fa dall’ultimo armatore.

Queste notizie ci provengono dall’amico Sergio Spina, autore dei piani costruttivi da cui abbiamo tratto i disegni che qui proponiamo. Spina ha ricavato i suoi piani da un mezzo modello originale del cantiere Picchiotti e da un preciso rilievo, corredato da fotografie, che lui stesso eseguì sulla nave dopo la trasformazione in nave da diporto.

Sia lo scafo che la velatura sono stati però riportati alle condizioni originali, che la nave conservò fino a circa il 1960.

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