LE CORAZZATE CLASSE “DUILIO” ALL’ENTRATA IN SERVIZIO

Sul finire del 1910, quando la corazzata Dante Alighieri si trovava già in allestimento e le tre dreadnogths Cavour, Cesare, Leonardo da Vinci sugli scali di costruzione cominciavano a dare un’idea di quelle che sarebbero state le loro linee di carena, il Ministero Marina incaricava il Tenente Generale del Genio Navale Giuseppe Valsecchi, di effettuare uno studio, che partendo dal progetto delle tre unità precedenti, ne migliorasse le qualità senza mutarne le caratteristiche essenziali.

Lo studio in questione era stato commissionato in vista del programma navale che portava a sei il nucleo principale di navi da battaglia della Marina Italiana.

L’ingegner Valsecchi, constatata la bontà del progetto firmato dal defunto generale Masdea, e visto che le caratteristiche principali delle tre unità classe “Cavour” erano pienamente rispondenti alle necessità strategiche della Marina Italiana, si limitò ad apportare al disegno delle suddette navi soltanto quelle modifiche dettate dall’esperienza degli ultimi due o tre anni e dall’esempio fornito dalle similari costruzioni straniere.   Mantenne praticamente invariate dimensioni e forme dello scafo, l’armamento principale, l’apparato motore e le caratteristiche delle sistemazioni accessorie di bordo; modificò invece l’armamento secondario, lo spessore della corazzatura di batteria e delle traverse, le sovrastrutture, la posizione reciproca degli impianti da 305 mm., la posizione e la forma dei fumaioli, etc.

Il progetto venne portato a termine in meno di sei mesi ed integralmente approvato dai competenti organi del Ministero Marina, tanto che in data 2 settembre 1911 gli scafi di due unità del tipo migliorato poterono essere commissionati, rispettivamente all’Arsenale di La Spezia e al Cantiere di Castellammare di Stabia.   Due mesi dopo, con Decreto reale in data 6 novembre 1911, le due corazzate venivano inscritte nei Quadri del Naviglio Militare con i nomi di Duilio e Andrea Doria

L’assemblamento dei materiali per la costruzione dello scafo cominciò immediatamente.   Nelle sale a tracciare, si iniziò a disegnare i garbi per la costruzione delle ordinate e per il taglio delle lamiere; mentre sugli scali si disponevano le taccate per la posa delle strutture della chiglia.

La corazzata Duilio, ordinata al cantiere di Castellammare di Stabia, venne impostata il 24 febbraio 1912, mentre la prima lamiera dell’Andrea Doria veniva posata esattamente un mese dopo.   Ma non essendo i due stabilimenti in condizione di fornire tutti i materiali, i macchinari e le apparecchiature necessari al completamento delle due navi, il Ministero Marina, contemporaneamente al progredire degli scafi sullo scalo, provvide a stipulare contratti con l’industria privata.

Il primo fu firmato il 25 ottobre 1911 con la ditta Carnegie Steel Cy di Pittsburg e riguardava la fornitura delle piastre di corazza per l’Andrea Doria e delle lamiere d’acciaio al vanadio per la protezione dei ponti.

Seguirono nell’ordine:

8 aprile 1912 - Commessa per la fornitura delle artiglierie secondarie da 152 mm. E da 76 mm. Alla ditta Ansaldo-Sneider (nave Doria) e Ansaldo e C. (nave Duilio).

18 maggio 1912 - Ordinazione degli apparati motore per ambedue le navi alla S.A.I. Gio. Ansaldo di Sampierdarena, che avrebbe dovuto provvedere anche al montaggio.

24 maggio 1912 - Contratto con la ditta Armstrong di Pozzuoli per la fornitura e sistemazione a bordo della corazzata Duilio di 13 cannoni da 305 mm.

18 giugno 1912 - Ordinazione alle Acciaierie di Terni di tutte le corazze occorrenti per la nave Duilio e di quelle al cromo-nichel insieme alle piastre per le torri di comando e per la direzione del tiro della nave Doria.

4 settembre 1912 - Commessa alla Vickers Terni di 13 cannoni da 305 mm. Per la corazzata Andrea Doria.

Altri contratti per forniture minori erano stati frattanto stipulato con moltissime ditte specializzate italiane e straniere.

Il varo delle due belle unità avvenne con fastose cerimonie alla presenza dei Reali d’Italia, rispettivamente, per l’Andrea Doria il 30 marzo 1913, per la Duilio il 24 aprile 1913.

Per alcuni mesi gli scafi delle due navi rimasero all’ancora nelle darsene del cantiere di Castellammare di Stabia e dell’Arsenale di La Spezia, mentre a bordo venivano portati a termine i lavori di pertinenza dei due cantieri.

L’allestimento completo venne poi affidato:

Per la Duilio - in base a contratto in data 9 agosto 1913, alla S.A.I. Gio. Ansaldo e C. che lo eseguì nelle sue Officine Allestimento Navi nel porto di Genova.

Per l’Andrea Doria - in base a contratto in data 7 gennaio 1914, alla Società N. Odero e C., che lo eseguì nel suo cantiere di Genova.

Le industrie suddette, per mettere le due corazzate in condizione di prendere servizio, dovevano completare lo scafo; applicare le piastre di corazzatura; sistemare l’impianto elettrico e tutti i congegni per l’esercizio, la manovra e la sicurezza della nave; imbarcare le dotazioni fisse e i pezzi di rispetto.

Per quanto riguarda la corazzata Duilio, i lavoro procedettero speditamente, tanto che la nave poté essere sottoposta alle prove di collaudo con ben tre mesi di anticipo sulla data contrattuale del 30 giugno 1915.

L’allestimento dell’Andrea Doria non fu, invece, altrettanto rapido.   La ditta Odero infatti non poté mantenere la data contrattuale del 30 settembre 1915, a causa del ritardo nella consegna delle artiglierie da 305 mm. e 152 mm., e per l’esecuzione di numerosi lavori extracontrattuali, suggeriti dalle esperienze della guerra in corso e dal servizio di nave ammiraglia per il Comando in Capo dell’Armata, cui la Doria venne destinata.

La loro consegna alla Marina avvenne per la Duilio il 10 maggio 1915 e per la Doria il 13 marzo 1916.

Essendo queste due unità un miglioramento della precedente classe “Cavour” spiegheremo qui appresso le differenze, anche se minime, che vi erano fra queste due classi.

 

DESCRIZIONE DELLO SCAFO

Nella progettazione di queste due navi non furono apportate variazioni al disegna della carena; pertanto nella parte immersa risultarono perfettamente uguali alle precedenti unità classe “Cavour”. Stessa forma della prora e della poppa.   Anche su queste, due timoni semicompensati, uno principale di grande superficie (m2 32) ed uno ausiliario più piccolo (m2 10) manovrati con uguali sistemi e macchinari.

Lo scafo, in acciaio ad elevata resistenza, che, per la qualità impiegata, consentì un generale lieve alleggerimento di tutte le strutture, era provvisto di doppio fondo cellulare e munito di paratie longitudinali di stiva, di copertini stagni inferiori e di cofferdams di murata contro gli scoppi subacquei.

Sulla “Doria” mancava il triplo fondo, caratteristico delle “Cavour”, e questo perché una compartimentazione stagna più suddivisa ed accurata ne aveva reso inutile l’impiego.

I ponti continui da poppa a prora erano tre; cioè, il ponte di protezione, il ponte di batteria e il ponte di coperta.   Rispetto alla coperta delle “Cavour” quella delle “Duilio” era molto più ampia, infatti, in seguito ad una diversa disposizione dell’armamento secondario che vedremo successivamente, non vi era su queste navi la grande tuga corazzata centrale, caratteristica delle precedenti.

Il castello di prora, assai più corto di quello delle “Cavour”, terminava alla traversa corazzata prodiera; a poppavia di questa paratia si estendeva, fino a comprendere il fumaiolo prodiero, una tuga corazzata di dimensioni molto più ridotte.

Questa modifica permise un abbassamento di oltre due metri della torre trinata centrale da 305 mm., con conseguente miglioramento della stabilità trasversale della nave ed una maggiore stabilità di piattaforma durante il tiro dei cannoni.

Per poter ridurre un po’ le dimensioni del ridotto corazzato e per avere depositi munizioni più raccolti e protetti, le torri  binate da 305 mm., sia di prora che di poppa, furono avvicinate alle torri trinate estreme.   Questo spostamento rese possibile la sistemazione delle torrette corazzate di comando prodiera e poppiera ad una maggiore distanza dai fumaioli, consentendo una migliore disposizione delle sovrastrutture e lo spostamento del tripode a proravia del fumaiolo prodiero.

In complesso le due corazzate Andrea Doria e Duilio risultarono esteticamente più eleganti delle precedenti unità.   La linea dello scafo più bassa e slanciata, le sovrastrutture più raccolte, i due grandi fumaioli alti e snelli ed il tripode prodiero spostato davanti al fumaiolo, conferivano a queste navi un aspetto più veloce ed armonico.   L’unico svantaggio, forse, fu una minore disponibilità di spazio all’interno dello scafo, dovuta anche in parte alla diversa disposizione dell’armamento secondario. 

 

CORAZZATURA 

Il tipo di protezione verticale e la disposizione delle piastre di corazza erano praticamente uguali a quelle della classe “Cavour”.   Anche su queste navi si aveva una cintura completa da poppa a prora, che si estendeva dalla intersezione del ponte di protezione con la murata (a circa m. 1,80 sotto il galleggiamento) fino al ponte di batteria.

Lo spessore massimo nella zona centrale era di 250 mm..   Anche su queste unità si aveva una rastrematura delle corazze nelle due zone estreme fuori delle paratie trasversali corazzate, con uno spessore minimo verso poppa di 120 mm. e uno spessore minimo verso prora di 100 mm..

Al disopra della cintura corazzata correva la cintura di corridoio, comprendente una zona centrale fra le traverse corazzate dello spessore di 220 mm. e due zone estreme rastremate fino ad 80 mm..

Un terzo corso di corazze fra ponte di batteria e ponte di coperta andava dalla paratia corazzata trasversale poppiera fino all’estrema prora con una grossezza di 150 mm. fra le traverse, rastremata verso prora fino ad 80 mm..

Anche la protezione orizzontale ricalcava esattamente quella delle unità della classe precedente.   Si aveva infatti un ponte di protezione che si estendeva per tutta la lunghezza della nave, con forma a dorso di testuggine, orizzontale al centro e con superfici inclinate lateralmente verso le murate e verso prora e verso poppa.   Il fasciame di questo ponte era costituito da due strati sovrapposti di lamiere di acciaio ad alta tensione.   Lo spessore massimo nella parte centrale orizzontale era di. 24 mm, mentre nelle parti inclinate laterali raggiungeva i 40 mm..

Anche il ponte di batteria contribuiva alla difesa orizzontale con uno spessore massimo di 30 mm.

Corazze da 150, 13 e 12 mm. circondavano la tuga prodiera ed il ridotto del fumaiolo poppiero sul ponte di coperta.

Meno spesse, rispetto a  quelle delle corazzate “Cavour”, le paratie  trasversali corazzate, di cui una immediatamente a proravia della torre n. 1 e una immediatamente a poppavia della torre n. 5; raggiungevano infatti uno spessore massimo di 150 mm..

I ridotti circolari degli impianti da 305 mm. erano protetti da piastre di corazza da 120 e 130 mm. con gli spalti, nella parte sporgente dalla coperta, di 230 mm.

I cannoni di grosso calibro erano racchiusi in torri dello spessore frontale di 280 mm. e laterale di 240 mm..

Dotata di maggiore corazzatura, la torretta di comando prodiera aveva uno spessore, nella parte cilindrica, di 320 mm., mentre invariata rispetto alle “Cavour” era la protezione della torretta di comando poppiera (160 mm.).

Le corazze della cintura a murata, della tuga e delle traverse erano applicate su cuscino di legno; mentre le piastre degli spalti delle torri binate da 305 mm. erano rinforzate internamente da una robusta struttura di acciaio collegata fortemente al fasciame della coperta a poppa e della tuga a prora.

Il peso totale della corazzatura, compresi cuscini di legno e chiavarde, raggiungeva le 5.254 tonnellate, cioè circa un quarto del dislocamento a nave scarica.

 

APPARATO MOTORE 

Identico nella concezione e nella disposizione a quello delle corazzate classe “Cavour” e della stessa potenza massima complessiva, l’apparato motore delle due unità classe “Doria”, costruito e montato dalla ditta Gio. Ansaldo di Sampierdarena, si componeva di tre gruppi indipendenti di turbine tipo Parsons, disposti in tre compartimenti separati a centro nave, uno centrale e due laterali, nei quali erano contenuti anche i rispettivi macchinari ausiliari.

Ciascun gruppo di turbine era costituito da una turbina di alta pressione e da una di bassa pressione per la marcia avanti; nei gruppi laterali le due turbine di alta e bassa pressione erano sistemate su di un solo asse, nel gruppo centrale invece erano sistemate su due assi.

I gruppi laterali avevano ciascuno una turbina di marcia indietro incorporata nella turbina di bassa pressione, mentre quello centrale era dotato di due turbine di marcia indietro, ossia una per ciascun asse, di cui quella di sinistra con involucro proprio e l’altra incorporata nell’involucro della turbina di bassa pressione.

Le sei turbine di marcia avanti, che agivano sui quattro assi portaeliche, sviluppavano una potenza complessiva di 31.000 HP.   Le quattro turbine della marcia indietro, invece, complessivamente 14.000 HP.   Nelle andature normali il vapore veniva introdotto direttamente ed indipendentemente l’una dall’altra nelle tre turbine di alta pressione, da queste passava e si espandeva nelle corrispondenti turbine di bassa pressione e si scaricava poi nei rispettivi condensatori.

Per le andature a velocità ridotta, si potevano ottenere vari sviluppi di forza tenendo in azione od il solo gruppo centrale od i soli gruppi laterali insieme.   Ma l’andatura più economica si otteneva facendo funzionare i tre gruppi in serie; cioè, il vapore entrava nella turbina di alta pressione laterale destra, da questa passava a quella di alta pressione laterale sinistra, poi nelle turbine alta pressione e bassa pressione centrali, scaricandosi infine nel condensatore centrale.

La produzione di vapore per il funzionamento delle turbine era assicurato da venti caldaie a tubi d’acqua tipo Yarrow, di cui otto con combustione a nafta e dodici con combustione mista (carbone e nafta).

Ciascuna caldaia, dotata di polverizzatori tipo Thornicroft, era collegata al doppio anello delle tubolature principali e sussidiarie di vapore.   Le caldaie stesse, raggruppate a due a due, erano poste in dieci locali separati, di cui cinque a proravia dei locali turbine, due lateralmente al locale turbine centrale e tre a poppavia.

Niente da dire sul funzionamento e sul rendimento dell’apparato motore di queste navi, anche in relazione alla tecnologia dell’epoca in cui furono costruite, ma qualche riserva và invece formulata sulla disposizione dei gruppi di turbine, che in locali contigui finivano per essere troppo vulnerabili in caso di colpi di grosso calibro.   D’altra parte per i progettisti non sarebbe stato facile, con lo spazio a disposizione e l’ingombro causato a centro nave dal basamento e dai depositi munizioni della torre trinata n. 3, trovare una soluzione più soddisfacente senza allungare in modo abnorme e con altri inconvenienti le linee d’asse laterali.

Anche su queste due navi, dotate di combustione mista, si avevano depositi di nafta e depositi di carbone.   Tutti i depositi erano distribuiti sotto il ponte protetto e nel doppio fondo.   In questo, inoltre, si trovavano le casse per l’acqua potabile, per l’acqua di lavanda e per l’acqua di riserva delle caldaie.

Per l’epoca in cui furono costruite imbarcarono quanto di più moderno e perfezionato offrivano sia le industrie nazionali che straniere. 


 

PRINCIPALI CARATTERISTICHE TECNICHE DELLE NAVI DA BATTAGLIA DUILIO E ANDREA DORIA

 

ANDREA DORIA
Arsenale Militare Marittimo di La Spezia
Impostata: 24.3.1912 - varo: 30.3.1913 - in servizio: 13.3.1916

 

DUILIO

Cantiere di Castellammare di Stabia

Impostata: 24.2.1912 - varo: 24.4.1913 - in servizio: 10.5.19

 

Dislocamento

Andrea Doria : c.n. tonn. 22.968 - p.c. tonn. 24.729
Duilio : c.n. tonn. 22.930 - p.c. tonn. 24.690

Dimensioni

Lunghezza: f.t. m. 176,09 - fra p.p. m. 168,96
Larghezza: f.t. m. 28

Immersione

Andrea Doria : media c.n. m. 9,90 - media p.c. 9,445
Duilio : media c.n. m. 8,91 - media p.c. 9,440
Armamento
13 cannoni da 305/46 mm. - 16 cannoni da 152/45 mm. - 19 cannoni da 76/59 mm. (di cui 6 antiaerei)
3 tubi lanciasiluri subacquei da 450 mm.
Protezione
verticale al galleggiamento: max: al centro 250 mm. - a prora 100 mm. - a poppa 120 mm.
orizzontale - ponte di protezione: max: al centro 12 + 12 mm. - ai lati 20 + 20 mm.
orizzontale - ponte di batteria: max: 30 mm.
torretta comando: max: 280 mm.
torri e ridotti circolari grosso calibro: max: 280 mm.
batterie di medio calibro: max: 150 mm.
Apparato motore
8 caldaie a tubi d’acqua tipo Yarrow a nafta
12 caldaie a tubi d’acqua tipo Yarrow a combustione mista, con polverizzatori Thornicroft
3 gruppi di turbine Parsons su quattro assi
4 eliche tripale
Potenza: circa 32.000 HP - Velocità: normale 21 nodi - massima alle prove 21,5 nodi (questo dato è ufficiale, ma non sicuro)
Combustibile: norm. 520 tonn. carbone; 400 tonn. nafta - p.c. 1476 tonn. carbone; 845 tonn. nafta
Autonomia: 4.800 miglia a 10 nodi - 1.000 miglia a 21,5 nodi
Equipaggio

44 Ufficiali - 850 Sottufficiali e Marinai

Costo approssimativo di ogni unità 

Scafo e apparecchiature : Andrea Doria £.52.560.000 - Duilio £. 44.365.000

Artiglierie:  circa £.37.000.000

 
 

 

ARMAMENTO 

L’armamento principale, sia come calibro che come disposizione, rimase invariato rispetto alle corazzate della classe “Cavour”.

Si componeva di:

- 13 cannoni da 305/46 mm.

ripartiti in cinque torri corazzate disposte sul piano diametrale di simmetria, di cui tre trinate e due binate sopraelevate alle due torri estreme.

Unica variante, che comunque non avrebbe inciso sul volume di fuoco delle due unità, ma che si sarebbe tradotta unicamente in un miglioramento del tiro data la maggiore stabilità di piattaforma, fu l’abbassamento di oltre due metri sul livello del mare della torre trinata centrale.

Le artiglierie principali, in previsione del lungo periodo di tempo che avrebbe richiesto la loro costruzione, erano state ordinate in tempo utile.

La ditta Armstrong di Pozzuoli, incaricata della costruzione e del montaggio dei cannoni da 305 mm. per la corazzata Dulio, riuscì a contenere il ritardo nella consegna in soli pochi mesi.   Anche la ditta Vickers-Terni, costruttrice dei pezzi di grosso calibro per la corazzata Doria, consegnò le tredici bocche da fuoco senza uscire molto dai termini del contratto; ma la stessa ditta era però in enorme ritardo con l’approntamento dei cannoni della corazzata Cavour. Per questo si decise di imbarcare su quest’ultima unità le artiglierie pronte per la Doria, cosicché questa nave subì a sua volta un ritardo di circa quindici mesi nel completamento dell’allestimento.

 * * * *

La descrizione dell’armamento minore antisilurante merita u n esame più approfondito.

Il calibro da 120 mm. adottato per le tre corazzate classe “Cavour” aveva suscitato qualche polemica, sia perché ritenuto insufficiente contro i cacciatorpediniere più moderni, sia perché sulle navi di linea della Marina Austriaca e Francese, in costruzione nello stesso periodo, erano previste bocche da fuoco di calibro maggiore.   L’ingegner Valsecchi, quindi, nella stesura del progetto per la costruzione delle due corazzate Doria e Duilio, modificò sostanzialmente sia il calibro, sia il numero dei pezzi, sia la disposizione dell’armamento secondario, che risultò così composto da:

16 cannoni da 152/45 mm.

Il sacrificio di due pezzi si era reso necessario per contenere nei limiti del dislocamento il peso degli impianti, ma esso veniva ampiamente compensato dalla maggiore gittata dei nuovi cannoni e dal più consistente peso dei proiettili.

Fu inoltre migliorata, rispetto alle “Cavour”, la sistemazione di questi cannoni.   Abolita infatti la grande tuga corazzata centrale, otto di essi vennero montati in casamatte sul ponte di coperta a prora entro la tuga che circondava gli impianti prodieri e disposti in modo che quattro potevano sparare in caccia e quattro al traverso, e gli altri otto entro ridotto corazzato sul ponte di batteria verso poppa e piazzati in maniera da poter sparare, quattro in ritirata e quattro al traverso.

La nuova disposizione, oltre ad abbassare il centro di gravità della nave e quindi aumentarne la riserva di stabilità, aveva il pregio di concentrare meglio e praticamente senza angoli morti il tiro sui settori dell’orizzonte da cui poteva provenire l’eventuale attacco silurante.   Unico neo, forse, l’essere la batteria poppiera, in particolari condizioni, ad un’altezza insufficiente sul livello del mare.

 

L’armamento minore era poi completato da:

19 cannoni da 76/50 mm. A 1909

di cui, tredici per il tiro normale e sei per quello antiaereo.   Questi ultimi erano montati su affusti modificati per consentire un alzo maggiore.

Il progetto in effetti prevedeva cannoni da 76/45 mm. A.S. mod. 1912, ma al momento dell’entrata in servizio dette armi non erano pronte, né l’industria italiana, pressata dalle esigenze di guerra, era in condizione di fornirle entro breve tempo.   Si dovette perciò ripiegare sui cannoni da 76/50 mm. costruiti nel 1909.

Come per le corazzate classe “Cavour”, questi pezzi avevano sistemazioni volanti e potevano essere spostati, montati e smontati, a seconda dei casi.

Le sistemazioni erano trentaquattro, di cui tre sul castello ad estrema prora, otto sul castello ai lati della torre n. 2, otto in coperta verso poppa ai lati della torre n. 5, due a estrema poppa e tredici distribuite sui cieli delle torri di grosso calibro.   Queste ultime servivano particolarmente per iltiro ridotto da esercizio.

Anche su queste due navi si avevano poi artiglierie minori non comprese nell’armamento dell’unità, ma destinate alla compagnia da sbarco, ad armare imbarcazioni etc..

Il munizionamento era conservato in tre depositi principali: uno a prora, uno al centro e uno a poppa, posti alla base delle torri sotto il ponte di protezione.

La dotazione normale di proiettili e cariche, ripartita fra i vari depositi, era la seguente:

n     1.144 colpi per cannoni da 305 mm.;

n     3.440 colpi per cannoni da 152 mm,;

n     5.420 colpi per cannoni da 76 mm (5.625 sul Duilio).

Le torri corazzate da 305 mm. potevano brandeggiare con manovra idraulica ed elettrica, mentre l’elevazione delle munizioni dai depositi, il caricamento e la manovra delle grosse artiglierie dentro le torri erano esclusivamente idraulici.

La manovra dei cannoni da 152 mm. e dei pezzi minori era fatto esclusivamente a braccia.

Durante gli anni successivi al conflitto mondiale e fino al passaggio in disarmo per i grandi lavori di ricostruzione, l’armamento di queste unità non subì che lievissime modifiche per il miglioramento della componente antiaerea.

Fra il 1919 ed il 1924 il numero dei 76 mm. venne notevolmente ridotto, lasciandone in postazione solo alcuni ed in particolare due antiaerei, uno ad estrema prora ed uno sul cielo della torre n. 4.

Dal 1925 in poi l’armamento minore venne così stabilizzato:

13 cannoni da 76/50 mm. A.

sui cieli delle torri di grosso calibro, da impiegarsi per il tiro ridotto da esercizio.

6 cannoni da 76/40 mm. a.a. A 1916-17

disposti in coperta tre per lato, fra il basamento della torre n. 4 e il fumaiolo poppiero.

2 mitragliere Vickers da 40/39 mm a.a.

Le apparecchiature per la direzione del tiro, che su queste due navi risultarono fin dall’inizio  più perfezionate e moderne di quelle della classe “Cavour”, dopo il conflitto vennero potenziate con la sistemazione di centrali di tiro, telemetri ed apparecchi di punteria. 

 

ARMAMENTO SUBACQUEO

Anche le corazzate classe “Duilio” furono inizialmente dotate di armamento subacqueo. Esso si componeva di:

2 tubi lanciasiluri subacquei laterali tipo Elswick 450/1906 E

costruiti dalla ditta Armstrong di Pozzuoli e adatti per siluri da 450 mm. del tipo A 95/450.

1 tubo lanciasiluri subacqueo poppiero tipo De Luca 450/198 D

adatto per siluri da 450 mm. del tipo A 95/450.   La dotazione per ogni tubo era di tre siluri, le cui teste cariche, in tempo di pace, venivano conservate in appositi locali posti a proravia e a poppavia dei depositi munizioni delle torri 1 e 5.

 

RETI PARASILURI E APPARECCHIATURE PER DRAGAGGIO

Dotate anche le corazzate classe “Duilio” come per le “Cavour” le sbarcarono nel corso dell’anno 1916.

Sul finire del primo conflitto mondiale, inoltre, nell’anno 1918, queste due navi, insieme alle due superstiti della Classe “Cavour” e alla Dante Alighieri, furono dotate di apparecchiature per il dragaggio protettivo in corsa. 

 

IMPIANTO E SERVIZI ELETTRICI

L’energia elettrica veniva fornita da tre centrali, due delle quali situate in punti protetti al centro e a prora, la terza nel corridoio a prora.

Ciascuna centrale era composta da due gruppi elettrogeni (turbodinamo) da 150 Kw a 110 Volts e da relativo quadro di manovra.   Esse alimentavano due circuiti principali, e cioè il circuito forza ed il circuito luce.

Il circuito forza, con derivazioni varie, forniva corrente a tutti i macchinari ausiliari, come motori, pompe, verricelli, timoni, argani per salpare, elevatori munizioni, montacarichi, etc..

Il circuito luce, che forniva corrente per l’illuminazione esterna e di tutti i locali posti al disopra del ponte corazzato ed uno protetto per l’illuminazione di tutti i locali posti sotto al ponto corazzato.

Si aveva inoltre un anello a se, derivato dal circuito forza, per l’alimentazione dei proiettori di scoperta, i quali, posti in apposite piazzole sui tripodi, erano stati progettati in numero di diciotto.   Durante l’allestimento, però, ne furono imbarcati soltanto, otto che negli anni successivi al conflitto vennero ulteriormente ridotti a quattro.

Anche su queste due unità la stazione R.T. principale, dotata di trasmettitori della potenza di 3 Kw, si trovava a centro nave sul ponte di corridoio.

 

CONCLUSIONE 

Le due corazzate Andrea Doria e Duilio, erano soltanto una versione migliorata delle tre precedenti unità della classe “Cavour”.   Su queste avevano il pregio di una migliore distribuzione e di una maggiore potenza dell’artiglieria secondaria, ma rispetto alle unità similari in servizio nelle varie marine, presentavano lo stesso difetto principale delle tre unità predette, e cioè una cintura corazzata di insufficiente spessore.

Le due navi, progettate durante la guerra italo turca, impostate dopo qualche tempo e costruite, come tutte le navi di quel periodo, con una certa lentezza, alla loro entrata in servizio già non erano più delle navi all’avanguardia.

Solide, ben costruite, stabili, di linea armoniosa, non avevano in complesso difetti apprezzabili.

Durante la loro non breve carriera, prima dei grandi lavori di trasformazione, non furono sottoposte che a normali cicli di manutenzione.   Non ebbero infatti che piccolissime modifiche, interessanti più che altro alcune apparecchiature o armi antiaeree.   Sul finire della guerra, nel 1918, la Duilio venne dotata di un grosso verricello e delle necessarie attrezzature per la manovra di un pallone frenato, che doveva servire per l’osservazione del tiro e per aumentare le possibilità di scoprire il nemico a maggiore distanza.   Si trattò comunque di un esperimento di breve durata.

Nel 1925, invece, analogamente alle compagne Cesare e Cavour, imbarcarono un idrovolante da ricognizione M.18, che sistemato sul cielo della torre centrale, in apposita sella brandeggiabile per poter orientare il velivolo secondo la direzione del vento, veniva issato a bordo o messo a mare a mezzo dell’albero di carico.

Nel 1926, infine, su ambedue le navi fu installata, a prora sul lato sinistro del castello, una catapulta per il lancio dell’idrovolante.

 

BANDIERE DI COMBATTIMENTO

DUILIO

Donata da un comitato di donne romane, presieduto dal Principe Prospero Colonna sindaco di Roma.

Consegnata in forma privata al comandante dell’unità nel Maggio 1915.

Il cofano per la conservazione della bandiera stessa venne consegnato, invece con cerimonia pubblica in Campidoglio, il 14 aprile 1932.

 

ANDREA DORIA

A questa unità venne passata, in data 14 agosto 1915, la bandiera aed il cofano già appartenuti alla prima corazzata Doria, e conservati presso il Museo storico navale di Venezia. 

 

IL RIMODERNAMENTO DELLE CORAZZATE “DUILIO” E “ANDREA DORIA” 

In tutte le principali Marine del mondo stavano mettendosi in moto gli organismi preposti alla progettazione e alla costruzione delle grandi unità navali.

In Italia, il primo programma decennale di rimodernamento della flotta era completato; i sette grandi incrociatori da 10.000 tonnellate ed i sei classe “Condottieri”, costituivano ormai il nucleo principale delle nostre forze navali.   Man mano che queste navi entravano in squadra, sparivano dai quadri per radiazione o venivano poste in riserva le unità meno efficienti.   Per prima era passata al demolitore la corazzata Dante Alighieri; nel 1928 uscivano dalla squadra navale e passavano in riserva o a compiti di nave scuola, rispetttivamente, le corazzate Conte di Cavour e Giulio Cesare.   Il nucleo di Dreadnoughts, che per circa quindici anni aveva costituito il grosso delle nostre forze navali, si scioglieva; le unità nuove, incrociatori e cacciatorpediniere, man mano che lasciavano i cantieri entravano a far parte della 1^ Squadra Navale, mentre per qualche anno ancora le due Doria e Duilio formarono la 3^ Divisione della 2^ Squadra.

Ebbero più che altro compiti di addestramento e preparazione equipaggi, poi, ormai superate, ma ancora eventualmente utili per compiti particolari, prima il Duilio nell’agosto del 1932, poi il doria nell’agosto 1933, passarono nella Forza Navale di Riserva, la prima a La Spezia, la seconda a Taranto, e ormeggiate a quattro catene iniziarono il lungo periodo di disarmo in attesa che il decreto di radiazione ne autorizzasse la fine sotto il martello del demolitore.

Nella stessa estate del 1933 giungeva intanto a compimento l’elaborazione del progetto di trasformazione delle Cesare e Cavour.   Le due vecchie unità entravano perciò, nell’autunno dello stesso anno, nei cantieri per i grandi lavori di rimodernamento, lavori che a quel momento per le altre due corazzate non erano stati previsti.

Con il 1934 venne inoltre portato a termine il progetto per la costruzione di due unità da 35.000 tonn., che nell’autunno furono impostate con i nomi di Littorio e Vittorio Veneto.

Con questo il programma della Marina Italiana per il rinnovamento del nucleo di navi da battaglia poteva considerarsi concluso; ma nel 1935-36 la situazione politica internazionale nel Mediterraneo subì un deciso deterioramento.   A causa del conflitto italo etiopico e della guerra civile spagnola, gran parte della flotta inglese venne concentrata in questo mare, mentre i rapporti con la vicina Francia e con la stessa Gran Bretagna entravano in una fase delicata.

La politica seguita dall’Italia in quegli anni rendeva necessario un gigantesco sforzo di potenziamento della nostra Marina Militare.   Si decise quindi la costruzione di altre due unità da 35.000 tonn. e fu ripresa in esame la possibilità di rimodernare anche le vecchie corazzate Doria e Duilio.

Mentre queste continuavano a galleggiare inoperose nelle darsene degli Arsenali di La Spezia e di Taranto, il Comitato Progetti Navi presso il Ministero della Marina, sotto la guida del Generale del Genio Navale Francesco Rotundi, riprendeva in esame gli studi, a suo tempo portati a termine, per il rimodernamento di Cesare e Cavour e vi apportava numerose migliorie dettate dall’esperienza diretta e dalle difficoltà incontrate nel corso dei lavori su dette navi.

Per il progetto di rimodernamento di Doria e Duilio ci si poté inoltre giovare degli studi effettuati per la costruzione delle corazzate classe “Vittorio Veneto”. 

 

RIMODERNAMENTO DELLA PARTE STRUTTURALE DELLO SCAFO 

La prima a filare per occhio  le catene dei corpi fu la Duilio che l’1 aprile, a Genova, passò in disponibilità presso i Cantieri Navali del Tirreno, incaricati della trasformazione, mentre per l’Andrea Doria il lavori iniziarono l’8 aprile dello stesso anno presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico.

La ricostruzione durò circa tre anni; ossia qualche mese meno rispetto alla classe “Cavour”.   Questo fu dovuto all’esperienza raggiunta con le unità precedenti e all’incalzare degli avvenimenti.

La ricostruzione anche in questo caso interessò oltre il 60% della costruzione originale.

Gli scafi delle corazzate classe “Duilio” erano praticamente identici a quelli della classe “Cavour”; nelle modifiche interne, quindi, si presentarono gli stessi problemi e le stesse difficoltà già incontrati con le precedenti unità:   Si dovette pertanto fare ricorso agli stessi compromessi.

Per prima cosa venne migliorata la compartimentazione cellulare dei doppi fondi.   Anche su queste navi la protezione antisiluro fu affidata principalmente a due cilindri decompressori tipo Pugliese, che comunque non ebbero modo di dimostrare la loro efficacia.   L’11 novembre 1940, infatti, durante l’incursione aerea inglese sulla base di Taranto, la Duilio venne colpita da un siluro con acciarino magnetico, che scoppiò sotto la chiglia in corrispondenza della torre n. 2.   L’unità non affondò, come la Cavour, soltanto perché essendo ormeggiata in Mar Grande più vicino a terra, poté essere tempestivamente portata ad incagliare in bassi fondali.

Per contribuire ad aumentare la velocità della nave e per ottenere un miglior rendimento del nuovo apparato motore, si dovette aumentare il coefficiente di finezza dello scafo.   Mentre sulle “Cavour” si ottenne mediante la sovrapposizione di una nuova prora alla vecchia che rimase in loco, sulla “Duilio” il dritto di prora originale venne rimosso e sulla struttura, tagliata e modificata, applicata una nuova prora, slanciata, notevolmente svasa e inferiormente foggiata a bulbo per una migliore penetrazione.

La lunghezza delle due navi risultò così aumentata di circa 10 m..

La parte poppiera, invece, tranne l’abolizione delle due linee d’asse più esterne, non venne modificata.   I due timoni e i loro agghiacci rimasero gli stessi.

La protezione, sia verticale che orizzontale, non subì che minimi ritocchi, praticamente in tutto uguali a quelli apportati sulle corazzate Cavour e Cesare.

La differenza maggiore fra le due classi riguardava l’applicazione di una corazzetta scappucciante di 50 mm. di spessore, intorno ai basamenti cilindrici delle torri di grosso calibro, onde aumentarne la protezione.   Sulle “Cavour” era stata sistemata ad una distanza di 50 centimetri dalla protezione vera e propria; sulle “Doria” venne praticamente addossata al vecchio basamento cilindrico.

Ai fini del migliore rendimento della corazzatura in quei punti non si avevano variazioni di rilievo, mentre dal punto di vista estetico Cavour e Cesare si presentavano con le torri poggiate su basamenti più massicci, che all’occhio del profano si traducevano in una sensazione di maggior potenza e sicurezza.

La cintura verticale, al galleggiamento, rimase dello spessore massimo di 250 mm., assolutamente insufficiente per una nave che avrebbe probabilmente dovuto sostenere combattimenti con cannoni da 381 mm.   Dati i limiti del dislocamento non si poteva fare di meglio.

Si cercò  invece di rendere le due unità meno vulnerabili alle bombe di aereo, particolarmente a centro nave in corrispondenza dell’apparato motore, applicando sul ponte di protezione, dello spessore di mm. 24, vari starti di lamiere di acciaio fino a raggiungere gli 80 mm..

A poppavia della torre prodiera sopraelevata fu inoltre costruito un torrione corazzato, di forma troncoconica, con piastre di mm. 260 di spessore, che avrebbe dovuto contenere gli organi di comando della nave e tutte le strumentazioni principali per la condotta del tiro.   Le aggiunte di lamiere di corazza a cui abbiamo accennato, causarono da sole un incremento del dislocamento di circa 800-900 tonn., che sommate ai nuovi pesi imbarcati a causa del cambio di armamento e di apparato motore, portarono il dislocamento a nave completamente scarica da 20.951, 40 tonn. a 24.258.363 tonn..

 

APPARATO MOTORE 

Gli stessi concetti che avevano portato alla sostituzione totale del vecchio apparato motore sulle corazzate Cavour e Cesare, la stessa forma di carena, lo stesso dislocamento, le stesse previsioni d’impiego, fecero si che il progetto di rimodernamento si ripetesse identico per le corazzate Doria e Duilio.

Anche queste navi vennero abolite due eliche con rispettive linee d’asse.

L’ottima disposizione delle caldaie e delle turbine nei locali a centro nave fu la medesima; variava soltanto, rispetto alle “Cavour”, la posizione dei fumaioli, che su Doria e Duilio infatti vennero avvicinati fra loro e posti leggermente più a poppavia, in modo che l’aria calda ed i fumi disturbassero il meno possibile le torrette telemetriche e gli apparecchi di direzione del tiro posti sul torrione.

La produzione del vapore era assicurata da otto caldaie Yarrow subverticali, a nafta, a tubi d’acqua con surriscaldatori, disposte quattro a sinistra e quattro a dritta.

Vi erano poi due gruppi indipendenti di turbine Belluzzo, composti ciascuno da una turbina di alta pressione, da due di bassa pressione con incorporata la marcia indietro e da un riduttore, e disposti uno in un locale a poppavia delle caldaie di sinistra e l’altro in un locale a proravia delle caldaie di dritta.

Il vapore surriscaldato, alla pressione di 22 Kg/cm2, alimentate le turbine, si scaricava nei due condensatori principali di ogni gruppo (ve ne era uno terzo ausiliario) e finiva, sotto forma di acqua ad alta temperatura, nei quattro pozzi caldi della nave.

Gli apparati motore, sia dei tipi “Cavour” che dei tipi “Doria” si rivelarono ottimi sotto tutti i punti di vista; non si verificarono mai avarie di grave entità e ressero sempre bene anche agli sforzi prolungati di navigazione a tutta forza.

Benché la potenza totale di progetto fosse uguale per tutte e quattro le unità (75.000 HP asse) nelle prove a tutta forza le “Cavour” ottennero un maggior rendimento (circa 28 nodi con 93.000 HP) rispetto alle due “Doria” che non riuscirono a superare i 27 nodi con una potenza massima di 86.500/87.000 HP asse.

In complesso però, nelle navigazioni di guerra, le quattro unità si equivalevano.
 

PRINCIPALI CARATTERISTICHE TECNICHE DELLE NAVI DA BATTAGLIA DUILIO E ANDREA DORIA DOPO IL RIMODERNAMENTO 

ANDREA DORIA

Rimodernata presso i Cantieri navali dell’Adriatico - Trieste

Inizio lavori 8.4.1937 - rientrata in servizio 20.10.40 - radiata 15.9.1956

 

DUILIO

Rimodernata presso i Cantieri Navali del Tirreno - Genova

Inizio lavori 1.4.1937 - rientrata in servizio 15.7.40 - radiata 15.9.1956

 

Dislocamento

Andrea Doria : c.n. tonn. 28.700 - p.c. tonn. 28.882,4

Duilio : 29.391

Dimensioni

Lunghezza: f.t. m. 186,9 - fra p.p. m. 168,96

Larghezza: f.t. m. 28

Immersione

Andrea Doria : media a p.c. m. 10,362

Duilio : media p.c. 10,400

Armamento

10 cannoni da 320/43,8 mm. - 12 cannoni da 135/45 mm. - 10 cannoni da 90/50 mm. a.a. 

– 15 mitragliere da 37/54 mm. a.a. – 16 mitragliere da 20/65 a.a.

Protezione

verticale al galleggiamento: max: orizzontale a centro nave 250 mm. – 80 mm + 30 mm.

torri grosso calibro: 280 mm.

basamenti torri grosso calibro: 120 mm.

torri medio calibro: max: 120 mm.

torrione: massima 260 mm.

apparato motore

8 caldaie a tubi d’acqua tipo Yarrow subverticali con surriscaldatori

2 gruppi di turbine Belluzzo, con riduttori

2 eliche tripale

 

Potenza: circa 75.000 HP nella normale andatura a tutta forza – circa 87.000 HP ottenuta alle prove.

Velocità: massima in mare 26 nodi – ottenuta alle prove 27 nodi.

Autonomia: 4.250 miglia a 13 nodi  (4.680 Duilio) – 3.390 miglia a 20 nodi (2.780 Duilio) – circa 1.700 miglia a 24 nodi

Combustibile: 2.552 tonn. di nafta (Doria) 2.548 tonn. di nafta (Duilio)

Equipaggio

36 Ufficiali

circa 1400 Sottufficiali e Marinai

 

 

Tabella riassuntiva dei dati principali dell’apparato motore

Peso complessivo : 1.400 tonn. inclusi i due assi portaelica e le due eliche monoblocco tripale

Potenza : 75.000 HP nella normale andatura

Potenza max: 87.000 HP ottenuta nella prove a tutta forza

Velocità : 26 nodi massima in mare – 27 nodi massima nelle prove a tutta forza – 13 nodi velocità economica

Nafta per caldaie : 2.552 tonn. (Doria) – 2.548 tonn (Duilio)

Acqua di riserva per caldaie : 404 tonn.

 

SERVIZI ELETTRICI, DI COMUNICAZIONE E DI SCOPERTA 

Durante i lavori di ricostruzione delle due navi, la sostituzione dell’impianto elettrico fu praticamente totale. Vennero imbarcate apparecchiature più sofisticate, centrali di tiro, girobussole, scandagli ultrasonori, etc., che portarono ad un maggiore assorbimento di energia elettrica a corrente continua.

Questa, a 110 Volts, veniva fornita da tre centrali protette, disposte: una a centro nave di fianco al locale macchine di prora e dotata di due turbodinamo, e due, a prora e a poppa, dotate di gruppi dieseldinamo.

Queste ultime due centrali, svincolate dalla rete di distribuzione del vapore, assicuravano l’erogazione di corrente elettrica ai servizi forza, luce, e utenti vari, in qualsiasi condizione. Esistevano inoltre impianti luce di riserva alimentati da batterie di accumulatori.

L’organizzazione del servizio comunicazioni ricalcava quello delle corazzate classe “Cavour”, però con una maggiore dotazione di apparecchiature. Si componeva di:

-            una stazione R.T. trasmittente principale, dotata di trasmettitori tipo T.N.m. 1000/1931 e T.N.c. m. 1000 e 2000, collocata all’interno del torrione corazzato.

-            Una stazione ricevente protetta principale, sul copertino superiore, alla base del torrione e dotata di sette ricevitori R.T..

-            Una stazione ricevente secondaria sprotetta, nel secondo corridoio immediatamente a poppavia del locale macchine di poppa, dotata di cinque ricevitori R.T.. Nello stesso locale era piazzato anche un pannello trasmittente di riserva, tipo T.N.S. 1000.

-            Per le comunicazioni a brevi distanze, fra navi della stessa formazione, si avevano inoltre cinque apparati radiosegnalatori, situati: tre in apposito locale a poppa e due in plancia ammiraglio.

I proiettori di scoperta , dopo i lavori di riammodernamento, furono sostituiti da quattro proiettori tipo Galileo da 120 cm, dei quali due furono sistemati a dritta e a sinistra sulla controplancia e potevano, in posizione di riposo, scorrendo su ferroguide, essere riposti in apposito spazio ricavato nel torrione sopra la plancia ammiraglio. Gli altri due furono invece piazzati a poppa sulla sovrastruttura costruita intorno all’albero di carico, e vi potevano scomparire all’interno mediante un sistema ad ascensore. 

 

RADAR 

Per tutta la durata del secondo conflitto mondiale, né Duilio né Doria vennero mai dotate di radar. Nell’aprile 1943, per la verità, erano stati portati a termine dalla Direzione delle Costruzioni navali e meccaniche presso l’Arsenale di La Spezia, gli studi relativi alla sistemazione sulle due navi di un radiotelemetro, o “Dete” tedesco o “Gufo” italiano, ma il sopraggiungere dell’armistizio, non consentì l’inizio dei necessari lavori di modifica al torrione delle due unità.

Nel dopoguerra, essendo state le uniche due corazzate concesse all’Italia dal trattata di pace, mentre la Doria, nel 1947, passava ai grandi lavori a Taranto per essere messa in condizione di prolungare di qualche anno l’attività operativa, la Duilio alzava la bandiera del Comando Squadra e restava in armamento fino al novembre 1949. Non fu sottoposta ad importanti lavori, ma nel 1947, nel corso di un normale ciclo di manutenzione, ricevette due apparecchiature radar di scoperta antiaerea. Si trattava di due apparecchi residuati di guerra di costruzione inglese, tipo “L.W.S.”, costituiti da una cabina di ascolto (inizialmente usata su autocarri) sormontata da una voluminosa antenna a forma di doppia piramide unita per i vertici. Le due apparecchiature furono fissate sulle plance vedette contraeree, immediatamente a poppavia delle torrette telemetriche antiaeree ai lati del torrione. E’ evidente che si trattava di sistemazioni provvisorie e di nessuna pratica utilità, salvo l’allenamento degli operatori.

La Doria, fu sottoposta ad un ciclo più importante, e che poté disporre di ottime apparecchiature sbarcate dalle corazzate Italia e Vittorio Veneto in demolizione, per quanto riguarda la ricerca aerea e di superficie ebbe sistemazioni radar meno rudimentali. Fu innanzitutto dotata di una Centrale Operativa di Combattimento, situata alla base del torrione, per la elaborazione dei dati provenienti dalle apparecchiature radar e che consentiva una costante valutazione della situazione sia nell’aspetto generale operativo che in quello specifico della pericolosità della minaccia aerea e navale.

I radar furono tre:

-            Apparati N.S.A. 1 di scoperta antiaerea, ottenuto modificando un’apparecchiatura inglese L.W.S., e con l’antenna piazzato sull’apposito locale ricavato dalla trasformazione della coffa vedetta dell’albero di prora, ad un’altezza di m. 40,6 sulla linea di sottochiglia.

-            Apparati N.S.A. 1, con antenna piazzata sul tetto dell’apposito locale costruito sulla base della torretta telemetrica, che venne appunto sbarcata, in coffa proiettori dell’albero di poppa.

-            1 Apparato N.S.M. 1, navale, con antenna in testa d’albero, ad un’altezza sulla linea di sottochiglia di m. 52. 

 

ARTIGLIERIE 

Anche su Doria e Duilio, causo la sostituzione dell’apparato motore e la sua diversa disposizione, e causa le modifiche strutturali dello scafo, si era dovuto abolire la torre trinata centrale di grosso calibro. Gli altri dieci pezzi da 305 mm. subirono gli stessi lavori di modifica e furono portati al calibro di 320 mm.. L’armamento principale risultò quindi il seguente:

10 cannoni da 320/43,8 mm

ripartiti in quattro torri corazzate girevoli, di cui, una trinata ed una binata sopraelevata rispetto alla prima a prora sul castello, ed una trinata ed una binata sopraelevata in coperta a poppa.

Per quanto riguarda l’armamento minore antisilurante ed antiaereo, il discorso è più complesso. Il rimodernamento delle “Cavour”, intrapreso nel 1933, risentiva ancora dei vecchi concetti d’impiego delle corazzate, che portarono ad una componente antiaerea assolutamente insufficiente.

Per di più non si disponeva come arma principale che degli ormai superati cannoni O.T.O. da 10/47 mm., montati su affusto a ginocchiello variabile. Altri pezzi erano allo studio, ma si trovavano ancora nella fase sperimentale. Fu soltanto la guerra civile spagnola, in pieno svolgiemento quando venne decisa la ricostruzione delle “Doria”, che aprì nuovi orizzonti alle possibilità dell’arma aerea e che spinse tutte le Marine del mondo a studiare un tipo di armamento appropriato per la difesa antiaerea delle navi.

Fu per una fortunata coincidenza che si arrivò alla ricostruzione delle due “Duilio”, proprio quando la progettazione delle “Littorio” era ormai giunta alla fuse esecutiva.

Essa influì infatti notevolmente sulla variazione di armamento delle due navi, in particolare su quello antisilurante ed antiaereo.

La ditta Ansaldo, che aveva progettato e costruito il cannone antiaereo da 90 mm. per le “Littorio”, fu in grado di fornire in tempo utile il numero di armi sufficienti anche per queste due unità.

Pertanto l’armamento minore risultò così costituito:

12 cannoni da 135/45 mm O.T.O. 1937

ben raggruppati a sei a sei in due torrette trinate per parte, di cui una sopraelevata, poste ai lati del torrione.

La disposizione consentiva un notevole volume di fuoco, sia antinave che come tiro di sbarramento antiaereo.

10 cannoni da 90 mm Ansaldo 1939

sistemati in torrette singole stabilizzate, in modo da ridurre gli effetti dei movimenti di oscillazione della nave. Cinque torrette si trovavano a sinistra e cinque a dritta, a centro nave ai lati della tuga centrale. Il tiro di questi cannoni, sicuramente fra i migliori prodotti dall’industria italiana, costituiva, insieme alla massa di fuoco delle mitragliere e al tiro di sbarramento dei 135 mm., un grosso ostacolo per gli aerei dell’epoca.

Con il loro angolo di elevazione di 75°, fornivano una copertura alla nave anche contro aerei sorvolanti la formazione ad alta quota.

Questo compatto schermo antiaereo era completato da:

3 mitragliere da 37/54 mm. a.a. Breda 1932

in impianti singoli, posti in coperta ad estrema prora sul piano diametrale di simmetria e montati su affusti a scomparsa.

12 mitragliere da 37/54 mm. a.a. Breda

in sei impianti binati, quattro a centro nave in apposite piazzole sulla tuga ai lati dei fumaioli e due sulla tuga in coperta, uno a dritta e uno a sinistra, leggermente a poppavia dell’albero di carico.

16 mitragliere da 20/65 mm. a.a.

in otto impianti binati, di cui: due sul cielo della torre n. 2, due sul cielo della torre n. 3 e quattro sulla tuga in coperta a poppa, di cui due a sinistra e due a dritta sulla stessa piattaforma degli impianti da 37 mm..

 

Con l’armamento descritto, le due navi iniziarono la loro carriera di guerra. Era stato ben studiato, perfettamente all’altezza dei tempi e non subì, quindi, negli anni successivi che due piccolissime varianti.

La prima modifica, che ne aumentò di poco la potenza, fu effettuata nella primavera del 1942:

-                      i due impianti binati di poppa da 20/65 mm. a.a. furono spostati sul cielo della torre n. 2 ( sulla Duilio poggiarono sulle orecchie del telemetro, sulla Doria invece vennero piazzati su due piattaforme quasi sul davanti della torre stessa) e al loro posto furono imbarcati altri due impianti binati da 37/54 mm. a.a..

In conclusione, negli ultimi anni di guerra si ebbero:

16 mitragliere da 37/54 mm. a.a. in impianti binati

16 mitragliere da 20/65 mm. a.a. in impianti binati

 

Nel dopoguerra, quando le due unità rimasero in servizio per compiti di rappresentanza ed addestramento, fu operata una piccola riduzione nel numero delle armi per la difesa antiaerea ravvicinata; vennero infatti sbarcate le tre mitragliere da 37 mm. singole di prora e i due impianti binati da 20 mm. della tuga di poppa. 

 

MUNIZIONAMENTO E SISTEMI DI CARICAMENTO DEI CANNONI 

Essendo l’armamento principale di grosso calibro identico a quello delle corazzate classe “Cavour”, anche l’organizzazione dei depositi munizioni e del caricamento dei pezzi era molto simile.

Le munizioni e le cariche dei 320 mm. venivano conservate in quattro depositi, posti sotto il ponte corazzato alle basi delle torri e divisi in due locali sovrapposti: quello inferiore per i proietti, quello superiore per le cariche.

Il gambo di ogni torre affondava fin sotto il piano del rispettivo deposito, attingendovi direttamente le munizioni. Proiettili e cariche, tramite scivoli e carrelli passavano agli elevatori, che li trasportavano dietro la culatta dei pezzi.

Il munizionamento dei pezzi di medio e piccolo calibro era invece così suddiviso:

quello da 135 mm. in apposito locale a poppavia dei depositi munizioni della torre n. 2, quello da 90 mm. in altro locale immediatamente a proravia del deposito munizioni della torre n. 3.

Mentre gli impianti principali si rifornivano dai depositi mediante sistemazioni facenti parte della torre, proiettili e cariche da 135 mm. e da 90 mm. salivano da depositi a mezzo di norie, con sbocco sul ponte di coperta sotto castello; da lì venivano avviati a mano alle riservette situate nelle basi di ciascuna torretta. 

Il munizionamento delle mitragliere, conservato in cofani, era suddiviso fra i due depositi di medio e piccolo calibro a prora e a poppa.

Ogni impianto era inoltre dotato di riservette.

In totale, la dotazione normale di colpi per tutti i calibri, ripartiti fra i vari depositi, era la seguente:

-            320/43,8 mm.           :           440 palle (proietti perforanti)

-             210 granate dirompenti

-              2.600 elementi di carica

 

-            135/45 mm.           :           572 proietti perforanti

-             873 granate dirompenti navali

-             238 granate dirompenti contraeree

 

-            90/50 mm.           :  4.000 granate dirompenti

-            190 proietti illuminanti

 

-            mitragliere da 37/54 mm. : 1.800 colpi per canna (in totale 27.000 fra traccianti ed esplodenti, di cui circa un terzo ripartiti fra le riservette)

 

-            mitragliere da 20/65 mm. : 2.400 colpi per canna (in totale 38.400 di cui gra nparte nelle riservette)

 

 SISTEMAZIONI PER LA DIREZIONE DEL TIRO 

Ad un armamento potenziato e più moderno corrispose un’organizzazione del tiro più complessa. Anche in questo campo ci si giovò degli studi effettuati per le corazzate “Littorio” e dell’esperienza acquisita con le corazzate classe “Cavour”.

Rispetto a queste ultime, di cui venne ricalcato lo schema generale, sulle “Doria” si aumentò lo spazio a disposizione degli operatori e delle apparecchiature.

La più vistosa modifica riguardò infatti il torrione corazzato, nel quale erano accentrati tutti i servizi di comando, d’ordine, di comunicazione e di governo della nave.

Sulla sommità di esso poggiava la grande torretta girevole contenente l’inclinometro e due telemetri da m. 7,20 di base (uno steroscopico ed uno a coincidenza) per la misura delle distanze.

Mentre sulle “Cavour” questa torretta conteneva anche la stazione di direzione del tiro del 1° D.T., sulle “Doria” era attraversata dal basamento cilindrico intorno al quale ruotava, e sul quale poggiava una torretta cilindrica fissa, non corazzata, a due piani, contenente nel piano più basso una stazione per quattro vedette binoculari navali, in grado di operare al riparo in qualsiasi condizione di tempo e di mare, e nel piano superiore la stazione principale di direzione del tiro.

Dalla sommità di questa torretta fuoriusciva la testa con i prismi dell’A.P.G. (apparecchi di punteria generale) a mezzo del quale era possibile seguire il bersagli e mediante il pulsante di sparo fare partire contemporaneamente le salve di grosso calibro.

La stazione di direzione del tiro era collegata con la centrale di tiro principale, tipo O.L.A.P., posta alla base del torrione sotto il ponte di protezione. 

In caso di avaria alle installazioni principali si poteva passare alla direzione del tiro secondaria, diretta dal 2° D.T., che trovava posto in una torretta cilindrica corazzata dotata di A.P.G., posta sul cielo della torre 2.

Una lieve differenza, che rendeva le due navi facilmente riconoscibili a distanza, riguardava appunto la sistemazione di questa torretta. Sulla Duilio si trovava a poppavia del centro della torre 2, sulla Doria più in avanti, esattamente sulla verticale del centro di rotazione della torre stessa, con gli innegabili vantaggi che questo comportava per la punteria.

Nella parte posteriore della torre 2, poi, trovava posto una centrale di tiro ridotta, tipo Galilei, e un grande telemetro di m. 9 di base. Analoga sistemazione interna si aveva anche nella torre 3, per cui il tiro dei grossi calibri poteva essere diretto anche per sezioni di due torri ciascuna.

Sulla torre n. 3 mancava l’A.P.G., che veniva in ogni caso sostituito dai sistemi di punteria della torre stessa. 

La direzione del tiro antisilurante dei complessi da 135 mm. veniva invece effettuata, a secondo del lato da cui proveniva il nemico, da una delle due torrette telemetriche sistemate a dritta e a sinistra, simmetricamente rispetto ai fumaioli, nella parte centrale della nave.

Le due torrette contenevano ognuna uno stereotelemetro da m. 5 di base, l’A.P.G., l’inclinometro e tutti gli altri strumenti indispensabili per la punteria. Per l’elaborazione dei dati del tiro, le due torrette erano collegate con due centrali di tiro poste ai lati della centrale di tiro principale nel 2° corridoio. 

Le due torri trinate sopraelevate da 135 mm. erano inoltre predisposte per funzionare isolatamente anche da stazioni di direzione del tiro, essendo dotate nella parte posteriore di un telemetro da m. 6 di base, di una centrale ridotta del tipo R.M. 2 Galileo e dalle altre apparecchiature necessarie alla punteria. 

Non meno importante di quelle descritte era l’organizzazione per la direzione del tiro contraereo effettuato dalle torrette da 90 mm.. Queste sparavano contro bersagli veloci e molto mobili; avevano una notevole celerità di tiro e richiedevano quindi una elaborazione rapidissima dei dati per la punteria.

La stabilizzazione delle torrette consentiva una semplificazione nel calcolo delle variazioni da introdurre a causa del rollio e del beccheggio. Per le ragioni su esposte, quindi, anche le due torrette telemetriche antiaeree furono stabilizzate.

Contenevano ognuna uno stereotelemetro da m. 3 di base ed erano sistemate simmetricamente a dritta e a sinistra, leggermente a poppavia del torrione. Poggiavano sul cielo di due grosse costruzioni rotondeggianti, racchiudenti ognuna una centrale a.a. ridotta, altre apparecchiature, e un apparecchio di punteria generale a.a..

Lateralmente e più a poppavia di ognuno di questi locali, si aveva una piattaforma con cinque posti di vedetta per la scoperta degli aerei nemici.

Il tiro notturno era previsto soltanto per i piccoli calibri, ai due lati della grande piattaforma posta sotto la plancia comando, si avevano, allo scoperto, due colonnine di puntamento dotate di un piccolo stereotelemetro da m. 1,50.

Le mitragliere, infine, pur effettuando punteria diretta, erano asservite a due colonnine pe ril calcolo dei dati di tiro sommari, poste su due piattaforme, una a dritta ed una a sinistra, fissate ai supporti delle torrette telemetriche del calibro da 135 mm.

Sulla sommità del fuso maggiore dell’albero, poi, dietro al torrione, al momento del rientro in servizio, le due unità presentavano una grossa coffa, collegata agli impianti a mezzo telefono, per le vedette ed il direttore del tiro delle mitragliere.

Sulla duilio detta coffa venne sbarcata quasi subito, mentre sulla Doria rimase in opera per tutti gli anni che seguirono. Fu appunto questa coffa che nel dopoguerra servì da supporto all’antenna del radar N.S.A. 1.

A poppa sulla coffa proiettori dell’albero di carico era piazzata una torretta telemetrica di riserva, dotata di stereotelemetro da m. 3 di base. Questa torretta venne sbarcata nel dopoguerra e sostituita, sulla Doria, da un radar tipo N.S.A. 1. 

 

ARMAMENTO SUBACQUEO E SISTEMAZIONI PER IL DRAGAGGIO 

Durante la stesura del progetto di ricostruzione di Doria e Duilio, venne decisa l’abolizione dei tubi lanciasiluri, che vennero infatti sbarcati nel corso dei lavori.

In base agli inconvenienti registrati sulla corazzata Cavour, non fu neanche presa in considerazione la possibilità di imbarcare idrovolanti da ricognizione. Quello che si guadagnò in peso e spazio, andò a vantaggio della migliore distribuzione dell’armamento minore. 

Doria e Duilio furono invece identiche alle precedenti nelle sistemazioni per il dragaggio autoprotettivo in corsa. Anche su queste due unità si ebbero quattro paramine tipo C, rizzati normalmente in coperta davanti al basamento della torre 2, e rimorchiabili ad una profondità di circa 11 m., mediante catene fissate sotto il bulbo di prora. 

 

PITTURAZIONE NORMALE E MIMETICA 

Seguendo le variazioni delle norme in uso nella Marina Militare Italiana, le corazzate Doria e Duilio cambiarono pitturazione varie volte nel corso della loro carriera:

-            grigio chiaro negli anni della prima guerra mondiale e dell’immediato primo dopo guerra;

-            grigio ferro fino al 1929;

-            grigio chiaro dal 1930 e successivamente al loro rimodernamento, fino all’autunno 1941. 

Nell’estate del 1941 infatti, vennero portati a compimento i primi esperimenti per una pitturazione mimetica atta a disturbare il riconoscimento delle navi ed il telemetraggio da parte del nemico.

La Duilio venne mimetizzata per prima secondo un disegno a due colori sperimentali, già adottato dalla Littorio e dall’incrociatore duca d’Aosta, a doppia spina di pesce con le estremità prodiera e poppiera di colore chiaro.

Per la Doria, invece, venne adottato, nell’autunno dello stesso anno, un disegno a forti contrasti di colore, analogo a quello usato per le corazzate Cesare e Cavour e suggerito dal pittore Claudius.

Trattandosi, per ambedue le navi, di disegni mimetici sperimentali, con l’entrata in vigore delle norme generali da seguire nella mimetizzazione delle navi militari, questi vennero sostituiti, a partire dalla tarda primavera del 1942, con schemi a due colori: grigio chiaro e grigio scuro.

La colorazione bianca della prora e della poppa, fu abolita nell’estate del 1942.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, al rientro delle due navi da Malta, si provvide a ripitturarle secondo le norme in uso nelle Marine alleate. Lo scafo diventò grigio scuro, mentre le sovrastrutture erano verniciate di un elegante grigio celestino.

Non fu questo l’ultimo tipo di pitturazione; nel 1950, infatti, Doria e Duilio, insieme a tutte le altre unità della Marina Militare, tornarono alla colorazione grigio chiara del periodo prebellico, conservandola fino alla radiazione.

 

CONCLUSIONE 

Per formulare uni giudizio conclusivo sulla ricostruzione e sui pregi e difetti di queste due navi negli anni di servizio che seguirono, basterebbero poche parole. Ma prima di esprimerlo è bene confrontare in una brevissima sintesi le due “Doria” ricostruite con le due “Cavour”.

Dal punto di vista estetico, ma questo è forse un giudizio soggettivo, erano forse più belle le due precedenti. Sulle “Doria” la prora aveva maggiore slancio e la linea dello scafo nella parte anteriore presentava un più marcato cavallino.

Il torrione corazzato, troppo alto, i due fumaioli spostati verso poppa, la stessa voluminosa costruzione attorno all’albero poppiero, rompevano l’armonia della linea e rendevano le due navi più tozze rispetto alle “Cavour”. Erano comunque di aspetto più aggressivo.

Si equivalevano nella corazzatura, nella protezione subacquea e nell’apparato motore.

Superavano nettamente le due precedenti per quanto riguardava sistemi di comunicazione, servizi elettrici, direzione del tiro, etc..

Potenziate nell’armamento, presentavano una disposizione delle artiglierie, sia principali che secondarie, più concentrata e compatta. Con l’aumento di gittata dei pezzi da 320 mm. e con l’adozione di armi antiaeree più moderne, risultarono indubbiamente di caratteristiche offensive e di difesa attiva più spiccate; ma anche per loro esisteva un limite oltre il quale non si poteva andare. Il dislocamento e le caratteristiche di partenza erano tali che a ricostruzione effettuata presentarono le stesse insufficienze delle corazzate classe “Cavour”. Erano infatti nettamente inferiori come calibro principale, corazzatura e protezione subacquea, alle navi di linea nemiche contrapposte nel Mediterraneo.

A causa di queste insufficienze e per la pratica impossibilità di operare efficacemente insieme alle modernissime “Littorio”, queste due unità nel corso del conflitto dovettero essere impiegate soprattutto in operazioni di protezione al traffico e come componente essenziale, per il nutrito fuoco di sbarramento che potevano fornire, della difesa antiaerea dei convogli. 

 

MOTTI DELLE DUE UNITÀ 

ANDREA DORIA 

Altius Tendam (miro sempre più in alto)

 

DUILIO

Nomen Numeno (il nome significa potenza)

 

 

CARATTERISTICHE DELLE PRINCIPALI ARTIGLIERIE IMBARCATE SULLE CORAZZATE CLASSE “DUILIO” ALL’ENTRATA IN SERVIZIO

 

 

 

 

Peso

 

 

 

 

 

Calibro mm. Lunghezza anima in calibri

Ditta costruttrice Anno di costruzione

Arma

Kg. *

Impianto completo

Kg.

Proietto

Kg.

Velocità iniziale proietto m/sec.

Massima elevazione Depress.

Massima gittata m.

Colpi 

al minuto

305/46

A.V. 1909

64.100

 

452

840

+20°/-5°

18.000

2

152/45

S. 1911

6.500

 

47

830

 

 

6

76/50

A. 1909

c.ca 1.143

 

c.ca 6

815

+20°/-10°

 

10

76/40a.a.

A. 1917

600

3.032

6,33

760

+ 75°

6.000/10.000

10

40/39a.a.

V.T. 1917

297

c.ca 840

0,9

610

+ 80°

4.425/7.160

50

* Per peso dell’arma, in linea di massima, è inteso quello del cannone senza otturatore.

 

DOPO IL RIMODERNAMENTO

 

 

 

 

Peso

 

 

 

 

 

Calibro m. Lunghezza anima in calibri

Ditta costruttrice Anno di costruzione

Arma

Kg. *

Impianto completo

Kg.

Proietto

Kg.

Velocità iniziale proietto m/sec.

Massima elevazione Depress.

Massima gittata m.

Colpi 

al minuto

320/44

Ansaldo e O.T.O.

rimod. 1934

64.000

Torre trin. 744.955

Torre bin. 548.030

525

830

+27°/-5°

28.600

2

135/4

O.T.O. 1937

6.000

 

32

825

+45°/-5°

20.000

6

90/50

A. 1939

1.493

 

10

845

+75°/-3°

13.000

12

* Per peso dell’arma, in linea di massima, è inteso quello del cannone senza otturatore. 

 

VITA OPERATIVA DELLE CORAZZATE CLASSE “DUILIO” 

Le due unità della classe “Duilio” entrarono in servizio l’una il 10 maggio 1915,, pochi giorni prima dell’intervento in guerra dell’Italia a fianco delle potenze dell’Intesa, nella prima guerra mondiale, e l’altra il 13 marzo 1916, dopo un lungo periodo di prove e di messa a punto.

E’ noto che alle navi da guerra, dopo che sono entrate in servizio, viene consegnata, nel corso di una solenne cerimonia la bandiera di combattimento. Con la bandiera di combattimento la nave è pronta ad affrontare il nemico anche dal punto di vista formale, oltre che tecnico. La bandiera che le viene affidata in forma solenne da una madrina, è quella che salirà al picco di fronte al nemico, sostituendo quella usuale, e che affronterà gli incerti della battaglia, che andrà a fondo con la nave se le sorti saranno avverse, ma che non sarà mai ammainata, perchè il farlo equivarrebbe alla resa.

Per la Duilio e per la Doria le cose andarono diversamente. La cerimonia della consegna della bandiera era stata fissata, per la prima nave, il 28 maggio, ma, come è noto, la guerra iniziò quattro giorni prima. Fu ritenuto urgente consegnare subito la bandiera di combattimento al comandante in forma privata, e solo il 14 aprile 1932, a ben 16 anni di distanza, si svolse la solenne cerimonia, nel corso della quale, invece della bandiera e del cofano contenitore, fu consegnato solo quest’ultimo. Per la Doria il problema fu risolto assegnando alla nave la bandiera ed il cofano appartenuti alla prima corazzata Andrea Doria.

Con l’entrata in servizio delle due navi la Marina italiana, che affrontava ancora una volta sul mare la Marina austro-ungarica, completava un gruppo di 6 dreadnoughts (Dante Alighieri, Giulio Cesare, Conte di Cavour, Leonardo da Vinci, Duilio, Andrea Doria) di caratteristiche omogenee e preponderante sul nucleo delle dreadnoughts avversarie. Ai nostri 77 cannoni da 305 si contrapponevano i 32 cannoni di ugual calibro imbarcati sulle corrispondenti dreadnoughts austriache (Szent Istvan, Viribus Unitis, Teghetoff, Prinz Eugen). Tale conto naturalmente è esclusivamente teorico, perché, durante il conflitto le forze corazzate avversarie non ebbero mai occasione di scontrarsi. La Marina italiana, forte della sua schiacciante superiorità su quella nemica, impose un efficace blocco dell’Adriatico, coadiuvata anche da aliquote delle Marine alleate. Il controllo del mare interno fu affidato alle sole unità leggere, ed in queste condizioni non è da stupire se la Marina austro-ungarica, pur effettuando audaci scorrerie contro le nostre coste, o contro il sistema di blocco del canale di Otranto, non poté svolgere un’attività sensibile nel corso della guerra, combattuta soprattutto sul fronte terrestre.

Mancò quindi lo scontro diretto fra le navi maggiori delle due flotte, scontro, del resto non ricercato da parte italiana, perché superfluo, e da parte austriaca per l’impossibilità di affrontarlo in condizioni di superiorità, o almeno di parità, sia pure occasionale.

L’unica occasione nella quale, forse, si sarebbe potuta verificare una battaglia fra corazzate, fu l’azione progettata nel 1918 dall’Ammiraglio Horty, divenuto capo della flotta austro-ungarica, contro lo sbarramento del canale di Otranto, azione che, se anche fosse stata coronata da successo, non avrebbe per nulla influito sulle sorti della guerra, ormai decise a sfavore degli Imperi Centrali. E’ noto comunque che l’affondamento della dreadnought Szent Istvan, effettuato dal Comandante Rizzo il 10 giugno 1918, fece fallire all’inizio la progettata operazione, determinando nel Comando austriaco, che non poteva più contare sulla sorpresa, la decisione di rientrare alle basi.

Data la condotta generale della guerra in mare, che precluse alle nostre navi maggiori ogni possibilità di azione, esse rimasero pressoché inattive durante tutto il periodo nelle basi di Taranto e Corfù.

Non per questo non esercitarono una loro influenza sulle sorti della guerra, dato che la loro stessa presenza dissuase l’avversario dal tentare una qualsiasi azione per uscire dall’Adriatico dove era imbottigliato.

In particolare la Duilio fece parte, al momento della sua entrata in servizio, della Prima Divisione (Cavour, Duilio e successivamente Doria) della Prima Squadra Navale. Passò poi nella Seconda Divisione (Doria, Duilio e Dante Alighieri). Durante il conflitto fu dislocata sempre a Taranto, ad eccezione del periodo 29 novembre 1916 - 21 gennaio 1917, durante questo periodo fu trasferita a Corfù. In tutto compì 4 missioni di guerra per 268 ore di moto, ed esercitazioni per 512 ore di moto.

La Doria fece parte anch’essa, insieme alla Duilio, della Prima e poi della Seconda Divisione Navale, come nave ammiraglia, e fu anche sede del Comando in Capo della Squadra da Battaglia. Rimase anch’essa sempre a Taranto, tranne il breve periodo di dislocazione a Corfù. Alla fine della guerra aveva totalizzato solo 70 ore di moto per missioni e 311 ore per esercitazioni. 

 

L’ATTIVITÀ NEL PERIODO FRA LE DUE GUERRE 

Dopo la fine della guerra, il 10 novembre 1918, la Duilio e la Doria (assieme alla Giulio Cesare) raggiunsero Corfù per un periodo di esercitazioni, e vi rimasero l’una fino al 26 gennaio e l’altra fino al 19 febbraio del 1919.

Il 25 aprile la Duilio lasciò Taranto per Smirne, dove rimase come nave stazionaria fino al 9 giugno. E’ noto che con la vittoria degli alleati l’Impero Ottomano, alleato degli Imperi Centrali, fu diviso in zone di occupazione e di influenza, e gli stati vincitori tendevano a rendere permanenti le loro occupazioni territoriali. L’Italia aveva particolare interesse alla zona di Smirne, dove operava il corpo di spedizione italiano. Per appoggiare tali interessi la presenza di grandi navi da battaglia era determinante: Per questa ragione la Duilio, quando lasciò Smirne, si trasferì a Costantinopoli, dove, assieme alla Doria, passò alle dipendenze della Seconda Divisione della Squadra da Battaglia che, dal 1° luglio 1919 assunse la denominazione di Squadra del Levante.

Le unità compirono crociere nel Mar Nero, la Duilio toccando Batum, e la Doria Sebastopoli.

La Dulio tornò poi a Smirne, dove il 9 settembre, fu sostituita dalla Cesare, e rientrò a Taranto il 12 settembre. A Taranto venne messa in riserva, mentre la Doria lasciò definitivamente la stazione del Bosforo il 9 novembre 1919, rientrando pur essa a Taranto e successivamente a La Spezia.

La Duilio venne riarmata nel giugno 1920, per essere inviata nelle acque albanesi, dove rimase, sempre a tutela degli interessi italiani, fino al settembre. 

E’ interessante ricordare quali fossero gli interessi italiani in Albania ed il perché della presenza di unità navali a Valona.

Secondo il patto firmato a Londra il 26 aprile 1915 che fissava le condizioni per l’intervento dell’Italia a fianco della Triplice Intesa, l’Italia a guerra finita, avrebbe dovuto avere Valona, il suo territorio e l’isola di Saseno.

La piccola Albania, la cui creazione era prevista da patto, in vista del futuro assetto dei Balcani, sarebbe stata una specie di protettorato italiano, Il resto del territorio albanese doveva essere diviso fra Montenegro, Serbia e Grecia. Dopo la guerra le speranze degli Albanesi in una indipendenza della loro nazione, furono deluse dall’accordo italo-greco del 29 luglio 1919 che riconosceva le aspirazioni greche sull’Albania, salva, naturalmente, Valona.

Nei primi mesi del 1920 si affermò un movimento indipendentista che chiese l’amministrazione delle località occupate dagli italiani, compresa Valona. La situazione si deteriorò fino ad una aperta rivolta. In luglio il governo Giolitti, non potendo più tenere Valona a meno di iniziare delle vere e proprie operazioni militari, cercò un accordo con gli Albanesi. Questi ultimi, coi protocolli di Tirana, ebbero la loro indipendenza, all’Italia restò la sola isola di Saseno.

Sempre nel 1920, nell’aprile, la Doria effettuò una breve crociera a Villafranca, sulla Costa Azzurra, per le manifestazioni in occasione della nomina del nuovo Presidente della Repubblica francese. 

 

LE CORAZZATE “DORIA” E “DUILIO E L’IMPRESA FIUMANA 

Sul finire dell’anno la Duilio ebbe la sua parte nel blocco di Fiume, e nel bombardamento della città, nei giorni che passarono poi alla storia con il nome di “Natale di sangue”.

Per ridimensionare il triste episodio ed inquadrarlo in una serena prospettiva storica, occorre riassumere brevemente quegli avvenimenti.

Il patto firmato a Londra il 26 aprile 1915 che fissava le condizioni per l’intervento dell’Italia a fianco della Triplice Intesa significava, fra l’altro, che i confini orientali che l’Italia avrebbe ottenuto dopo la pace avrebbero compreso Trieste, le contee di Gorizia e Gradisca, tutta l’Istria fino a Volosca e la Dalmazia, nel limite dei suoi confini amministrativi. Restava quindi fuori da tali confini Fiume, che veniva assegnata alla Croazia.

La suddivisione dell’Impero Austro-Ungarico fatta sulla carta, quando esso era ancora in vita, non corrispose, dopo il suo crollo, alla realtà. Fiume si proclamò italiana, come era in effetti la maggioranza della popolazione, chiedendo l’annessione in base al diritto di autodeterminazione, e il 13 novembre venne occupata da truppe italiane e alleate.

L’affermazione del diritto di nazionalità, però, mise in crisi gli accordi di Londra perché, riconoscendolo valido nei confronti di Fiume e dell’Italia, occorreva riconoscerlo egualmente valido nei confronti della Serbia, che reclamava l’Istria e la Dalmazia, territori che, appena al di fuori delle città costiere, sono abitati da popolazioni slave.

Alla Conferenza di Parigi gli alleati misero in discussione l’applicazione integrale del Patto di Londra sostenuti dal Presidente americano Wilson, fautore di una applicazione integrale del principio di nazionalità.

La tesi italiana dell’applicazione integrale del patto di Londra e in più di Fiume, sostenuta dal governo di V.E. Orlando, non trovava quindi accoglimento. Quando il Governo Orlando cadde gli successe quello di F.S. Nitti favorevole a una soluzione negoziata, con il progetto di fare di Fiume e del suo territorio uno stato libero (il corpus separatum dell’Impero austro-ungarico), soluzione che non avrebbe pregiudicato una futura annessione. Alla ricerca di un accordo il governo era spinto dalla precaria situazione economica e sociale italiana sull’orlo della crisi.

D’altra parte contro la rinuncia a Fiume si pronunciava l’opinione pubblica italiana e soprattutto  l’opposizione delle destre e dei nazionalisti che accusavano il governo di tradimento.

La situazione esplose quando il governo decise, in attesa di una soluzione della questione, di far evacuare dalla città le truppe italiane. Gabriele D’Annunzio si pose alla testa dei dissidenti, e con forze militari che non volevano obbedire agli ordini governativi, occupò Fiume, proclamandovi poi un governo provvisorio “la Reggenza del Carnaro”.

La soluzione di forza non risolse nulla, anzi aggravò le cose. Si creò in Fiume e negli ambienti nazionalistici italiani un clima di eroismo infiammato dal violento, affascinante, ma spesso inconcludente sfogo verbale di D’Annunzio. Nell’esercito e nella marina però si moltiplicarono le diserzioni, l’opinione pubblica fu divisa, si manifestò la debolezza del governo, che si trovò a fronteggiare nuove difficoltà, delle quali, quella fiumana, non era che l’ultima.

Caduto il governo Nitti, e ad esso succeduto quello Giolitti, si giunse ad una intesa diretta con il Regno serbo-croato-sloveno,  che portò, il 12 novembre 1920, alla firma del Trattato di Rapallo. Con quanto in esso stabilito, venivano fissati i confini orientali dell’Italia, si faceva di Fiume uno stato indipendente, e l’Italia rinunciava alla Dalmazia conservando Zara.

Occorreva ora far applicare il trattato dal governo fiumano che lo respingeva nettamente.

Le trattative  per arrivare  ad un pacifico accordo fallirono. Il primo dicembre fu proclamato il blocco navale di Fiume, appoggiato lo stesso giorno da una dimostrazione navale nelle acque della città, alla quale parteciparono le corazzate Doria e Vittorio Veneto, e otto cacciatorpediniere. L’intento era, oltre l’intimidazione, quello di appoggiare l’uscita dal porto della Dante Alighieri e delle navi minori bloccate a Fiume dall’inizio dei fatti, cosa impossibile perché D’annunzio aveva fatto ostruire l’imboccatura del porto con la nave trasporto Cortellazzo.

L’azione suscitò proteste nell’opinione pubblica, e fu sconfessata dalle autorità politiche. Ma la situazione era tale che presto si sarebbe arrivati a soluzioni peggiori. I buoni propositi di riprendere le trattative furono frustrati da due gravi fatti: la defezione di tre navi militari e cioè il Bronzetti, l’Espero e la 68 PN, i cui equipaggi, ribellatisi agli ufficiali, passarono a Fiume, e la defezione di quattro autoblinde dell’esercito regolare. Le posizioni si irrigidirono e si arrivò all’azione militare.

Il 24 dicembre l’esercito passò la linea di demarcazione per occupare Fiume. Ne seguirono violenti combattimenti, sospesi il giorno di Natale, e ripresi il giorno successivo. In appoggio alle operazioni terrestri, fu disposta una azione di bombardamento dal mare effettuata dalla Doria, che tirò, fra l’altro, alcuni colpi da 152 contro il palazzo sede del Comando. Una granata colpì l’architrave della finestra dello studio di D’Annunzio il quale rimase leggermente ferito dalla caduta dei calcinacci.

Il bombardamento proseguì, non intenso, per tutta la giornata del 27, causando danni alla città e facendo inevitabili vittime. Sporadicamente continuò anche durante notte.

Di fronte alla minaccia di un bombardamento navale sistematico, il governo di Fiume capitolò accettando il trattato di Rapallo. I legionari fiumani lasciarono la città che fu occupata dalle truppe regolari. 

 

GLI AVVENIMENTI SUCCESSIVI FINO AL 1937 

Nel 1921 la Duilio fu sede del Comando superiore Navale del Dodecaneso, e poi fu a Costantinopoli alle dipendenze della Divisione del Levante fino alla fine dell’anno.

Nello stesso anno la Doria svolse notevole attività addestrativa nel tirreno proseguita anche nell’anno successivo assieme alla Duilio.

Nell’agosto del 1923 scoppiò la crisi con la Grecia. Il 27 agosto 1923 la missione militare italiana, presieduta dal generale Tellini, incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori, della delimitazione del confine greco-albanese, fu trucidata in una imboscata. Si trattò, con molta probabilità, di una azione irresponsabile di banditi epiroti. Il caso però dette l’occasione al nuovo governo presieduto da Mussolini, per una manifestazione di forza in politica estera. Le richieste del governo italiano, che esigeva, fra l’altro, che la flotta greca rendesse gli onori alla bandiera italiana in una apposita cerimonia, avevano il carattere di un ultimatum.

Il governo greco rifiutò, e Mussolini replicò inviando una divisione navale composta dalle corazzate Cavour, Cesare, Doria e Duilio ad occupare Corfù. Un inutile bombardamento del vecchio forte della città causò, fra i profughi dell’Asia Minore che l’occupavano, un centinaio fra morti e feriti. Quando, per iniziativa della Conferenza degli Ambasciatori, si poté giungere ad un compromesso, il governo greco dovette accettare l’imposizione degli onori alla bandiera italiana. La nostra Squadra navale li ricevette al Falero, uno dei porti di Atene.

Il 30 settembre 1923 le navi rientrarono a Taranto. Nello scorcio dell’anno la Doria effettuò ancora una intensa attività partecipando, fra l’altro, alla scorta d’onore in occasione dell’arrivo e della partenza dei reali di Spagna.

Nel 1924 la Duilio effettuò una crociera nelle acque spagnole assieme alla Cavour e alla Dante Alighieri, in occasione della visita in Spagna del Re d’Italia.

Nel 1925 fu invece la Doria a recarsi all’estero, a Lisbona, per rappresentare l’Italia alle celebrazioni del 4° centenario della nascita di Vasco de Gama. Rientrò a La Spezia il 7 febbraio e passò in disponibilità per lavori. Riarmata nel giugno, partecipò alle manovre estive, classificandosi prima nelle gare di velocità e di tiro fra le grandi navi.

Il 5 novembre partì per il Levante assieme ad una squadriglia di cacciatorpediniere per proteggere i nostri connazionali residenti in Siria, dove la rivolta scoppiata nel Gebel Druso contro i francesi, che avevano il mandato sull’intera regione (Siria, Gebel Druso e Libano), si era estesa in tutto il paese.

L’unità rimase a Lero fino al 12 dicembre, e poi tornò in Italia toccando Patmo, Calino, Coo,Limassol, Giaffa, Alessandria d’Egitto, Tobruk e Bengasi. Giunse a La Spezia il 5 gennaio 1926.

L’8 aprile del 1925 era accaduto, intanto, un incidente sulla Duilio. Nel corso dell’esecuzione di tiri di esercizio nelle acque al largo di La Spezia, si verificò un’esplosione nell’elevatore munizioni della torre 3 (la centrale). I lavori a cui la nave fu sottoposta durarono fino all’aprile del 1928.

La Duilio quindi non prese parte alla grande rivista navale di Ostia del 1926 e 1927, alle quali partecipò invece la Doria.

Nel settembre del 1927 la Doria visitò, assieme alla Dante Alighieri e ad altre unità minori, la città di Zara; nel 1928 visitò Zante, Falero, Argostoli; nel 1929 la Cirenaica, l’Egitto, la Palestina, la Turchia e l’Egeo, e nel 1930 e 1931 prese parte a crociere nel Mediterraneo orientale, toccando il Dodecaneso e la Libia. Nell’agosto del 1932 passò in riserva, e rimase in questa posizione fino al 26 marzo 1937 quando lasciò La Spezia per trasferirsi ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste, per i lavori di ricostruzione. L’8 aprile la Doria passò in disponibilità, ed il giorno stesso ebbero inizio i lavori.

La Duilio, che era rientrata in servizio nel 1928 dopo i lavori conseguenti all’esplosione, alla quale in precedenza abbiamo accennato, compì da quell’anno fino al 1932 numerose crociere in Levante, toccando porti greci, egiziani, palestinesi, turchi e del Dodecaneso. Nel 1932 passò in riserva a Taranto, poi fu riarmata per esercitazioni e il 15 agosto 1933 divenne sede del Comando Forza navale di Riserva a Taranto, rimanendo in tale posizione fino alla fine del 1936.

Il 19 marzo 1937 lasciò Taranto per Genova dove, nei Cantieri del Tirreno, iniziò, il 1° aprile, i lavori di ricostruzione.

 

IL RIMODERNAMENTO DELLE DUE UNITÀ 

Nel 1933 iniziò il programma di rimodernamento del nucleo delle nostre navi da battaglia. L’esigenza del riarmo navale era stata sentita quando gli accordi raggiunti fra le maggiori potenze navali nel 1922 a Washington cominciarono a scricchiolare. Ciò avvenne introno al 1929-1930 quando, avvicinandosi la scadenza della vacanza navale concordata a Washington, la Germania costruì la corazzata tascabile Deutschland (10.000 ton., 6 cannoni da 280) e le due gemelle Admiral Scheer e Admiral Graf Spee. La Francia, in risposta, progettò le corazzate rapide Dunkerque e Strasbourg; l’Italia che non aveva approfittato, come la Francia, del resto, della possibilità di costruire corazzate concessale dal trattato di Washington per raggiungere le 170.000 tonnellate assegnatele, si vide ridotta in condizioni di inferiorità. La conferenza di Londra convocata nel 1930 con l’intento di riconfermare e protrarre la vacanza navale, non approdò a risultati concreti. Nei confronti dell’Italia e della Francia fu riconfermata però la possibilità di costruire le 70.000 tonnellate di naviglio corazzato per raggiungere il limite fissato.

Nella tendenza generale al riarmo che si andava delineando (fallimento della conferenza generale per il disarmo nel 1932, fallimento del tentativo di accordo italo-francese nel 1934, denuncia dei trattati di Washington e di Londra da parte del Giappone nel 1934 e del trattato di Versailles da parte della Germania nel 1935) l’Italia maturerà la decisione di costruire le grandi navi da battaglia da 35.000 tonnellate tipo “Littorio” (1934). Nel frattempo, mentre questi fatti dovevano ancora avvenire, ma erano nell’aria e si potevano prevedere, si offriva una soluzione più celere e più economica, anche se di compromesso, per fronteggiare, nel campo delle navi da battaglia, il riarmo delle altre nazioni: mettere in condizioni di maggiore efficienza le 4 corazzate già esistenti (la Dante Alighieri era stata radiata nel 1928) e, ormai, di diminuito valore bellico. Era una strada, del resto, che tutte le altre potenze navali, negli anni ’30, stavano seguendo, l’Inghilterra rimodernando le sue corazzate classe “Queen Elisabeth”, “Resolution”, “Repulse”, “Hood”, la Francia rimodernando le corazzate classe “Coubert” e “Bretagne”, il Giappone le “Kongo”, “Huso”, “Ise”, “Nagato”, e gli Stati Uniti le “Arkansas”, “Texas”, “Nevada”, “Pennsylvania”, “Mississipi”.

I lavori che furono previsti e poi eseguiti, prima sulle Cavour e Cesare, e poi sulle Duilio e Doria, andarono però al di là di un semplice rimodernamento. Si trattò, in verità, di una ricostruzione, dato che solo il 40% della vecchia costruzione venne mantenuto, e tutto il resto, macchine, artiglierie, sovrastrutture, lo scafo stesso, venne sostituito o integralmente modificato. Furono nuove navi quelle che uscirono dai lavori.

Con questo può sorgere legittimamente la domanda se la ricostruzione delle nostre vecchie navi da battaglia fu conveniente. Con la spesa sostenuta si sarebbero potute costruire due corazzate nuove da 35.000 tonnellate che in un futuro conflitto, come poi avvenne, avrebbero trovato ben più utile impiego. Queste nostre navi da battagli infatti operarono attivamente solo nel primo periodo della seconda guerra mondiale; dopo l’entrata in servizio della “Littorio” furono impiegate in compiti secondari. Le loro caratteristiche, da punto di vista puramente tecnico, nonostante la brillante riuscita dei lavori eseguiti, non potevano non risentire dei limiti imposti dalle loro dimensioni.

L’armamento principale, con il lieve aumento di calibro e con la maggiore elevazione, non migliorò di molto; alla maggior gittata non corrispose una buona precisione del tiro. L’armamento antiaereo, scarso sulle “Cavour”, fu migliorato sulle “Doria”; lo spessore della protezione rimase troppo modesto, e ad essa non sarebbe stato un sufficiente compenso il notevole aumento della velocità, da 21 a 27 nodi; la protezione subacquea, con i cilindri assorbitori tipo “Pugliese”, venne adattata con limitazioni di spazio che nuocevano alla sua efficacia.

Sul progetto della ricostruzione delle “Doria” influì notevolmente il contemporaneo studio dei progetti della “Littorio”. Esse, anche nell’aspetto esterno, assomigliarono molto a quest’ultime, naturalmente in ridotte dimensioni.

La ricostruzione delle nostre vecchie navi da battaglia fu decisa, forse prevalentemente, per ragioni politiche, di rapporti di forza e di prestigio soprattutto nei riguardi della Francia, e per disporre, in tempo relativamente più breve di quello che sarebbe stato necessario costruendo nuove navi, di una linea di navi da battaglia sufficientemente moderne. 

Il riferimento alla Francia appare evidente se si raffrontano le caratteristiche raggiunte dalle nostre navi con quelle delle francesi classe “Lorraine” e “Dunkerque”, con le quali però non avenno mai occasione di misurarci.

Il lavori di rimodernamento iniziali, il 1° aprile 1937 per la Duilio presso i Cantieri del Tirreno di Genova, e per la Doria l’8 aprile dello stesso anno presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico a Trieste, terminarono, comprese le prove ed i collaudi, per la prima unità il 15 luglio 1940, e per la seconda il 26 ottobre. 

 

L’INIZIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

Quando i lavori di rimodernamento delle due unità ebbero termine, l’Italia era entrata nel conflitto da qualche tempo, la Francia aveva già chiesto l’armistizio, il primo scontro fra navi da battaglia italiane e inglesi era già avvenuto a Punta Stilo (9 luglio 1940).

Fino al momento dell’ingresso in Squadra della Doria e della Duilio, la Flotta italiana, in fatto di navi da battaglia, era stata in condizioni di paurosa inferiorità rispetto alla Flotta inglese.

Da parte nostra le sole due corazzate rimodernate, pronte al combattimento, la Cavour e la Cesare, avevano di fronte, nel Mediterraneo occidentale, la forza H di base a Gibilterra, composta di tre corazzate, e nel mediterraneo orientale, con base ad Alessandria, quattro navi da battaglia, tutte di caratteristiche superiori per armamento e protezione alle nostre due che le superavano invece per velocità (secondo il concetto base delle nostre costruzioni dell’epoca che velocità è protezione). 

Corazzate inglesi

Anno costruzione

Anno rimoder.to

Tonnellate

Armamento

Velocità nodi

a Gibilterra:

HOOD

RESOLUTION

VALIANT

 

1916/20

1913/16

1913/16

 

1930

1930

1937/39

 

42.100

29.150

30.600

 

8/381

8/381

8/381

 

31

22

24

ad Alessandria :

ROYAL SOVEREIGN

RAMILLIES

WARSPITE

MALAYA

 

1914/16

1913/17

1913/16

1913/16

 

1932

1932

1937/38

1928/29

 

29.150

29.150

30.600

31.000

 

8/381

8/381

8/381

8/381

 

22

22

24

24

 

Le forze inglesi a noi contrapposte disponevano di due portaerei, e quanto esse sarebbero state preziose lo avremmo sperimentato in seguito, a nostre spese, nel corso dell’intero conflitto. Inferiori invece, e nettamente, erano gli inglesi nel Mediterraneo per altri tipi di unità minori.

Occorre notare però che il raffronto fra le navi da battaglia ha una sua validità secondo le concezioni di quel tempo, che risentivano ancora dell’esperienza della prima guerra mondiale. Le corazzate erano sempre la spina dorsale della flotta, e del loro numero e della loro potenza bisognava tener conto nell’affrontare una marina avversaria.

Anche se le corazzate avevano, in realtà rare occasioni di incontrarsi e di scaricarsi addosso le loro bordate, ed anzi, per mantenere intatta la propria potenza, era preferibile evitare tale eventualità, a meno di avere una superiorità schiacciante, esse tuttavia esercitavano la loro preponderante influenza sulla strategia della guerra in mare per il solo fatto di esistere, per la sola minaccia del loro possibile intervento.

E’ ovvio infatti che nella programmazione di qualsiasi operazione era necessario tener conto, da parte avversaria, del possibile contatto con l’intervento di navi da battaglia alle quali occorreva contrapporre una difesa adeguata, che in quel tempo, non essendo ancora stata valutata con esattezza l’efficacia degli aerei, si riteneva dovesse essere costituita da altrettanti navi da battaglia.

L’ingresso in Squadra della Doria e della Duilio (nella 5^ divisione navale assieme a Cesare e Cavour), precedute di poco dalle due corazzate da 35.000 tonnellate Vittorio Veneto e Littorio, 9^ Divisione), ristabilì l’equilibrio con le corazzate inglesi. Occorre tener presente però che tutte le nuove unità non erano immediatamente operative, dato che gli equipaggi dovevano ancora completare il loro addestramento. 

 

OPERAZIONE “HATS” 

La prima missione alla ricerca del nemico fu effettuata dalla Duilio, che frattanto aveva raggiunto un certo grado di addestramento, in occasione della operazione inglese “Hats”, fra il 31 agosto e il 1° settembre 1940.

Con l’operazione “Hats” gli inglesi si proponevano di rinforzare la squadra dislocata ad Alessandria, trasferendovi, da Gibilterra, la corazzata Valiant, la portaerei Illustrious, e due incrociatori leggeri, e nello stesso tempo di rifornire Malta.

Per questo scopo numerose navi mossero da Gibilterra e da Alessandria per incontrarsi nel centro del Mediterraneo con il consueto schema operativo usato dagli inglesi per azioni del genere. Fra le forze inglesi in mare figuravano tre navi da battaglia e due portaerei.

Il nostro comando era venuto a conoscenza, il 30 agosto, della partenza delle unità inglesi da Gibilterra e della presenza in mare della Mediterranean Fleet di Alessandria. Dispose pertanto che il mattino del 31 prendessero il mare da Taranto le nostre forze navali composte dalle navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto, Cavour, Cesare (che partì successivamente avendo riportato l’ostruzione dei condensatori durante la manovra di disormegglio) e Duilio, sette incrociatori pesanti, sei incrociatori leggeri e 39 cacciatorpediniere. Una forza imponente che, a parte la presenza dalla parteinglese delle portaerei, avrebbe realizzato, in un probabile scontro, una notevole superiorità sul nemico. L’incontro però non avvenne. L’insufficienza della ricognizione non permise al nostro Alto Comando (Supermarina) di farsi un’idea chiara della situazione; per evitare uno scontro notturno Supermarina segnalò al comandante superiore in mare (Ammiraglio Campioni) di procedere verso sud fino alle 16,00, e, se per quell’ora non fosse avvenuto il contatto, di invertire la rotta, in modo da trovarsi il mattino del giorno 1 settembre al centro del golfo di Taranto e da lì riprendere la direttrice di marcia verso sud (rotta 150°). Tale ordine, emanato alle 14,30, ricevuto dalla Littorio alle 16,30 e decifrato verso le 17,00 (esempio della lentezza del sistema e dell’intralcio che questo portava al Comando Superiore in mare) fece sì che le nostre forze, giunte ormai a meno di 100 miglia dalla Mediterranean Fleet (2 navi da battaglia, 5 incrociatori, 13 cacciatorpediniere), poco prima delle 18,00 invertirono la rotta. Anche gli inglesi, d’altra parte, avevano, già dalle 14,00, accostato verso sud e si allontanavano dal probabile punto di incontro. Il mattino successivo, il 1° settembre, le nostre Forze Navali ripresero la rotta 150° alla ricerca del nemico, con la limitazione però di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante. Gli inglesi invece erano nei pressi di Malta ed in tal modo il contatto non avrebbe potuto essere stabilito. Comunque in quel mattino il vento, che era andato crescendo dalla sera prima, si tramutò in violenta burrasca da nord e le nostre Forze Navali non potendo i cacciatorpediniere reggere il mare, furono costrette a rientrare alle basi.

Gli attacchi delle nostre forze aeree causarono danni ad un cacciatorpediniere e ad un piroscafo inglese, senza riuscire a contrastarne il successo, che, oltre il rifornimento di Malta ed azioni minori di bombardamento contro nostri aeroporti, conseguì il risultato di rinforzare la Mediterranean Fleet con una corazzata, due incrociatori ed una portaerei. Inoltre la Valiant e la Illustrious erano dotate dei primi radar imbarcati della portata di 40/50 miglia. Ora la Mediterranean Fleet aveva occhi che vedevano ben lontano e artigli che presto avrebbero inferto profonde ferite alle nostre navi.

Il 7 settembre la Duilio, assieme alle altre quattro navi da battaglia, sei incrociatori e diciannove cacciatorpediniere, uscì per intercettare la forza H che era partita da Gibilterra.

La nostra Forza navale giunse a sud della Sardegna, e, contemporaneamente, furono disposti agguati di siluranti e sommergibili nelle acque a ovest ed a sud della Sicilia. La trappola non scattò perché la forza H, dopo una breve navigazione verso levante per ingannare il nostro servizio informazioni, aveva invertito la rotta e ripassato lo stretto diretta in Atlantico. 

 

11 NOVEMBRE 1940 : LA NOTTE DI TARANTO 

Un attacco con aerosiluranti contro la base navale di Taranto era stato studiato dal Comando inglese fin da prima che iniziasse la guerra contro l’Italia. Soltanto dopo l’arrivo ad Alessandria della Illustrious con i suoi aerosiluranti Swordfish il progetto divenne realizzabile. Lo swordfish, un grosso antiquato biplano a carrello fisso, era un ottimo aerosilurante a causa della sua lentezza. Ma più che alle caratteristiche dell’aereo impiegato ed alla preparazione degli equipaggi, addestrati a sganciare i siluri a pochi metri di quota in modo da ridurre il “sacco”; cioè quel fenomeno per il quale il siluro, lanciato da una certa altezza, si immerge profondamente prima di risalire e percorrere la sua traiettoria alla quota stabilita, il successo dell’azione di Taranto deve attribuirsi all’adozione, sui siluri, degli acciarini “Duplex” a doppio effetto, a percussione e magnetico. I siluri provvisti di tali acciarini potevano operare anche in profondità più elevata del normale, passare sotto le reti parasiluri ed esplodere, qualora non avessero percosso lo scafo, per eccitazione magnetica sotto la carena della nave con effetti ancora più disastrosi, perché l’onda d’urto, impedita a propagarsi in altre direzioni per il basso fondale e per le masse d’acqua laterali, si sfoga tutta in alto, verso la parte non protetta dello scafo.

La possibilità di subire un attacco da parte di aerosiluranti non era stata sottovalutata dal Comando italiano. Avevamo già subito degli attacchi ad Augusta ed a Tobruk. L’aerosilurante era un’arma che cominciava a diventare pericolosa. Inoltre l’intensificata attività di ricognizione su Taranto faceva ritenere che l’avversario avesse delle intenzioni al riguardo.

Per questo motivo le navi che in origine erano ormeggiate di prua alle boe in mar Grande, e quindi libere di ruotare intorno ad esse, erano sprovviste ora di un ormeggio anche di poppa. In tal modo si poterono ravvicinare alle navi le reti parasiluri esistenti così da formare due grandi recinti, un per le navi da battagli e uno per gli incrociatori. Tali reti scendevano fino a 10 metri dal pelo dell’acqua, un’altezza ritenuta più che sufficiente, perché pari all’immersione delle navi.

Il Comandante del Dipartimento di Taranto (Ammiraglio Pasetti) aveva proposto la costruzione di recinti ravvicinati, uno per ciascuna unità, ma per realizzare tale progetto sarebbero occorsi 12.000 metri di rete, mentre ne erano in mare solo 4.200 e altri 2.900 dovevano essere sistemati. Il rimanente era in corso di costruzione al ritmo di 3.600 metri al mese.

Completava la protezione della base di Taranto un complesso di 101 cannoni antiaerei, 68 complessi di mitragliere con un totale di 84 canne, e 109 mitragliatrici leggere, a cui poteva aggiungersi tutto l’armamento contraereo delle navi che nell’insieme era imponente.

Vi era inoltre una rete di scoperta aerea con 13 stazioni aerofoniche e 22 proiettori, più due proiettori pronti per ogni nave con il compito, nelle notti lunari, di abbagliare gli eventuali aerosiluratori. Era previsto che le navi non prendessero parte al tiro di sbarramento di notte, per non rivelare la loro posizione.

In cielo, a 200 metri di altezza, con il compito di ostruzione aerea, vi erano 87 palloni frenati. Di essi 60 mancavano la notte dell’attacco, perché strappati via dal vento il giorno precedente. Mancava un sistema di annebbiamento artificiale che, come fu sperimentato in seguito, sarebbe stato utilissimo.

La difesa era all’erta per i frequenti allarmi aerei dei giorni precedenti, e perché la sera dell’11 novembre erano stati segnalati aerei in avvicinamento.

Gli inglesi avrebbero voluto sferrare l’attacco il 21 ottobre, anniversario di Trafalgar. Un incidente sulla Illustrious obbligò a rimandare l’operazione all’11 novembre, quando ci sarebbe stata una luce lunare favorevole.

Poiché nel frattempo la situazione bellica, per gli inglesi, si era complicata con l’intervento italiana in Grecia, tutta l’operazione fu combinata con un rifornimento di Malta da parte della corazzata Barham e di due incrociatori che sarebbero poi andati a rafforzare la flotta di Alessandria, con un rifornimento di Suda, base installata dagli inglesi nell’isola di Creta per soccorrere la Grecia, ed infine con scorreria dimostrativa nel Canale d'Otranto per colpire il traffico con l'Albania.

L’operazione iniziò il 6 novembre con la partenza da Alessandria della Mediterranean Fleet, e si sviluppò nei giorni successivi con la protezione dei convogli diretti a Malta ed a Suda, senza che da parte italiana si riuscisse ad avere un quadro chiaro della situazione. Le nostre Forze Navali furono mantenute pronte a muovere ed il contrasto alle operazioni nemiche fu affidato senza successo agli aerei ed al naviglio silurante.

L’11 novembre gli inglesi, con un aereo dell’Illustrious, eseguirono l’ultima ricognizione fotografica su Taranto. Le fotografie misero a punto il piano di attacco, così che i piloti degli aerosiluranti furono aggiornati, prima della partenza, sulla situazione delle navi nella base.

La sera dello stesso giorno, fra le 20,35 e le 20,40, da un punto a 40 miglia da Cefalonia e a 170 miglia da Taranto, partirono 12 aerei destinati al primo attacco. Fra le 21,28 e le 21,34 partì un secondo gruppo di aerei. Non tutti gli aerei erano siluranti. Alcuni erano destinati a lanciare razzi illuminanti alle spalle dell’obiettivo, ed altri al bombardamento delle navi ormeggiate nel Mar Piccolo allo scopo di disorientare la difesa.

L’attacco ebbe inizio alle ore 22,58 con il lancio dei primi bengala, e durò, ininterrottamente, con il susseguirsi delle ondate e delle azioni di bombardamento, fino alle ore 01,00 del giorno 12. Gli inglesi lanciarono 11 siluri e 5 di essi colpirono o mancarono di poco il bersaglio. Uno fu ritrovato senza detonatore nell’acciarino. Gli aerei perduti furono due. L’equipaggio di uno di essi fu salvato.

Un siluro colpì la corazzata Conte di Cavour affondandola, tre colpirono la Littorio che potè tuttavia essere portata ad incagliare su un basso fondale evitando l’affondamento.

Due aerei diressero verso la Doria; la nave non fu colpita, ma da bordo furono notate, davanti alla prora, due alte colonne d’acqua, scambiate per esplosioni di bombe. In realtà furono i due siluri scoppiati per aver urtato sul fondo. Erano le 23,15. Alla mezzanotte in punto, durante il secondo attacco, un altro aereo prese di mira la Duilio, e la colpì a prora dritta, con un siluro lanciato da 400 metri. L’esplosione del siluro, fra i depositi munizioni sottostanti alle torri, aprì una falla di metri 11x7. I depositi rimasero allagati. La nave, fortemente appruata, fu portata ad incagliare sotto costa alle ore 05,45, e poterono così essere evitati danni maggiori.

Altri siluri, che non colpirono, furono lanciati contro la Vittorio veneto ed il Gorizia. La contemporanea azione di bombardamento, effettuata solo come disturbo, causò danni irrilevanti alle navi in Mar Piccolo; altre caddero in città e nell’Arsenale causando alcuni crolli e provocando qualche vittima fra la popolazione civile.

La Duilio fu rimessa in condizioni di galleggiare nel gennaio del 1941. Il 26 gennaio partì per Genova dove giunse il 28. Il 3 febbraio entrò in bacino e rimase ai lavori fino alla fine di aprile. Il 3 maggio raggiunse La Spezia per effettuare delle prove ed esercitazioni, ed il 16 maggio rientrò a Taranto dove proseguì l’addestramento e le esercitazioni alternate a brevi spostamenti in altre basi del sud fino al novembre del 1941, quando riprese, come vedremo, la sua attività operativa come scorta di convogli diretti in Libia.

Circa le conseguenze dell’attacco di Taranto, è opportuno riportare un brano di un “apprezzamento della situazione”  preparato il 30 dicembre 1940 a Supermarina per il Capo di Stato Maggiore:

““Dopo l’azione aerosilurante del 12 novembre, gli inglesi hanno potuto assicurarsi senza difficoltà la prevalenza di forze in entrambi i bacini del Mediterraneo, così che è venuto meno uno dei postulati strategici su cui poteva fondarsi la nostra condotta delle operazioni: affrontare cioè con superiorità di forze l’una o l’altra delle due frazioni della Mediterranean Fleet”.

“D’altra parte la grande diminuzione di efficienza dell’aviazione marittima (dovuta alle perdite) combinate con la brevità delle giornate, ha molto ridotto la nostra possibilità di controllare i movimenti del nemico; l’assorbimento di tutte le siluranti, non assegnate alle squadre, per la protezione diretta dei traffici ha reso inattuabile il dispositivo studiato per il Canale di Sicilia; l’assegnazione alle fronti terrestri di tutti gli apparecchi dell’Armata Aerea, ha praticamente annullato ogni possibilità di concorso dell’Aeronautica alle operazioni navali.”

“Si è così determinata una situazione per cui il nemico ha la più incontrastata libertà di movimenti, salvo qualche danno sporadicamente inflitto da qualche sommergibile e da qualche aerosilurante.””

Una delle conseguenze dell’azione di Taranto fu il trasferimento in basi più sicure delle navi maggiori rimaste indenni. Lo stesso giorno 12 novembre le corazzate e gli incrociatori lasciarono Taranto per Napoli e Messina. La Doria raggiunse Napoli con la Cesare e la Vittorio Veneto, e proseguì poi per La Spezia per continuare l’addestramento dell’equipaggio.

Il rientro a Taranto era previsto dopo che fossero stati costruiti dei recinti protettivi nave per nave, con reti giungenti fino al fondo dell’ancoraggio.

Le nostre preoccupazioni non erano infondate. Difatti gli inglesi avevano intenzione di ripetere l’attacco la notte del 12 e non lo fecero solo per le sfavorevoli condizioni meteorologiche.

Con lo spostamento a nord la Flotta italiana dovette rinunziare a gravitare nel versante della penisola più impegnato nelle operazioni in Grecia e nel Mediterraneo centro-orientale. Il centro operativa fu spostato verso occidente dove operava la forza H inglese. Tale nuova dislocazione determinò, appunto, nello stesso mese di novembre, i movimenti che portarono allo scontro di Capo Teulada, al quale però la Doria, ancora a La Spezia, con l’equipaggio in addestramento, non partecipò. 

 

OPERAZIONE INGLESE “EXCESS” 

Le navi da battaglia italiane rimaste efficienti alla fine del 1940 erano rimaste tre: Vittorio Veneto, Cesare e Doria, quest’ultima però non aveva ancora terminato la fase addestrativa e quindi non era ancora pronta al combattimento.

Il, 20 dicembre purtroppo, la Cesare venne danneggiata durante un bombardamento mentre si trovava a Napoli, e quindi fu mandata a Genova per le riparazioni. L’unica corazzata pronta rimase la Vittorio Veneto che fu trasferita a La Spezia per sottrarla alla minaccia costituita dai continui bombardamenti aerei nelle basi del sud.

Approfittando di tale favorevole situazione il nemico poté portare a conclusione un’altra operazione di passaggio di convogli, denominata “Excess”. Il contrasto fu affidato alle siluranti ed agli aerei, ma il convoglio passò ugualmente indenne. Gli Stukas de X Corpo Aereo tedesco riportarono invece importanti successi nelle loro azioni contro le navi inglesi, il 10 gennaio, danneggiando gravemente la portaerei Illustrious e l’incrociatore Southampton che poi dovette essere affondato dagli inglesi stesi. Nella giornata del 10, Supermarina, sperando di far agire le navi italiane contro le unità inglesi che tentavano il salvataggio dell’Illustrious, dette ordine alla Vittorio Veneto ed alla Doria, benché questa non fosse ancora in piena efficienza, di uscire da La Spezia verso lo stretto di Messina. Le navi partirono alle 04,00 del mattino del giorno 11. L’azione avrebbe dovuto essere coordinata con quella di una Divisione di incrociatori usciti da Messina, ma non poté essere portata a termine, perché la sera del giorno 10 la Illustrious era già entrata a Malta. La Doria e la Vittorio Veneto rientrarono a La Spezia alle ore 14,40 dello stesso giorno 11. 

 

L’AZIONE INGLESE CONTRO GENOVA 

Proseguendo nell’intento di non dar tregua all’offensiva condotta contro le nostre maggiori unità navali allo scopo di ridurre sempre di più le possibilità di reazione della Flotta italiana, il comando inglese progettò un’incursione nell’alto Tirreno contro le basi dove si trovavano le nostre navi.

Alla fine di gennaio 1941, secondo le informazioni in possesso degli inglesi, erano in riparazione a Genova le navi da battaglia Littorio e Cesare (in realtà si trattava della Duilio, scambiata per la Littorio a causa della somiglianza della sagoma, e della Cesare che però pochi giorni dopo lasciò Genova per La Spezia). La presenza di due corazzate in riparazione in una base non protetta, suggerì all’Ammiraglio Sommerville, Comandante della forza H di Gibilterra, l’idea di bombardare Genova nella speranza di colpirvi le due unità, e di provocare inoltre, con il bombardamento dal mare di una grande città italiana, danni economici e psicologici notevoli.

L’operazione fu decisa per la fine di gennaio ed il 31 la forza H uscì da Gibiliterra. Le condizioni atmosferiche avverse sconsigliarono di proseguire l’azione, quando le navi erano ormai giunte al largo della Sardegna. Gli aerei della Ark Royal tentarono, senza successo, il siluramento della diga del Tirso in Sardegna. Pochi giorni dopo, il pomeriggio de 6 febbraio, la forza H riprese il mare per portare a termine la progettata incursione (operazione “Grog”).

Essa era composta di due navi da battaglia, una portaerei, un incrociatore e dieci cacciatorpediniere.

Solo nella tarda mattinata del giorno 8 Supermarina cominciò a ricevere segnalazioni di avvistamento di forze nemiche senza la presenza di convogli in mare. Presumendo che anche questa operazione fosse diretta verso la diga del Tirso, il nostro Comando dispose di riunire le nostre Forze Navali a ponente della Corsica e della Sardegna. Le navi da battaglia, che la sera del giorno 8 uscirono da La Spezia alla ricerca del nemico, furono la Vittorio Veneto, la Cesare e la Doria.

All’alba del giorno 9 le navi inglesi, giunte indisturbate davanti a Genova iniziarono, dalla distanza di 9.000 metri il bombardamento della zona industriale e portuale della città. La Duilio, benché si trovasse nel centro della zona bombardata e fosse stata inquadrata dalle salve, non fu colpita.

In quel momento le nostre navi si trovavano a ponente delle Bocche di Bonifacio, e la nostra ricognizione navale esplorava invano le acque a ponente della Sardegna alla ricerca del nemico.

Quando alle ore 09,50 l’Ammiraglio Jachino, Comandante della nostra Squadra in mare, ebbe la notizia dell’avvenuto bombardamento di Genova, ordinò subito la rotta a nord per intercettare il nemico in ritirata, mantenendosi tuttavia non lontano dalla costa corsa, nelle presunzione che il nemico cercasse di sfuggire verso sud.

Il nemico diresse in realtà verso sud fino alle 11,35, accostando poi verso sud-est, con rotta 244° che lo portava fuori dell’alto Tirreno. Alle 13,16 l’Ammiraglio Jachino, che dirigeva con rotto 330° che lo avrebbe portato ad avvistare il nemico verso le 15,00, fu indotto dalle comunicazioni di Supermarina, che davano il nemico a 75 da Capo Corso, a modificare la rotta della squadra per 30°.

Comunicazioni successive ed infine l’avvistamento di navi da parte del Trieste, che era con gli incrociatori a 15.000 metri di distanza dal grosso, in avanscoperta, dettero a tutti la certezza che questa volta l’incontro con il nemico non sarebbe mancato. Sulle navi tutto era pronto per il combattimento, il direttore di tiro della Vittorio Veneto aveva dato perfino l’ordine di caricare i pezzi. In realtà tutte le informazioni in possesso dei nostri Comandi erano infondate, e si riferivano ad un convoglio di piroscafi francesi. Dopo tale deludente constatazione la nostra Squadra prese subito rotta per ponente, ma ormai la possibilità di incontrare la forza H che si trovava a grande distanza di prora alle nostre unità, era sfumata, e con essa l’occasione di sorprendere una squadra inglese che, fra l’altro, era all’oscuro della nostra presenza in mare, in condizioni di relativa superi8orità.

Le ragioni del nostro insuccesso vanno ricercate in una serie di sfortunate coincidenza e di insufficienza dei nostri mezzi. All’inizio l’incertezza sulle intenzioni del nemico fu originata dal fatto che la nostra ricognizione aerea, il giorno 8, fu limitata in zone a sud di quello dove effettivamente si trovava la forza H, nella ipotesi che gli inglesi volessero ripetere l’impresa di pochi giorni prima contro la diga del Tirso.

Successivamente, dopo che la forza H aveva dimostrato di prepotenza per la sua presenza nel golfo di Genova, mancò del tutto la ricognizione aerea che, anche a causa della limitata visibilità per foschia e nuvolosità, dette informazioni disordinate, confuse, frammentarie. L’unico aereo che, alle 12,00, avvistò la formazione nemica e nel localizzò la posizione, fu abbattuto prima che potesse dare il segnale di scoperta. Il suo equipaggio fu raccolto dalla torpediniera La Masa e solo alle 17,55 poté essere lanciato il segnale, quando ormai troppo tempo utile era passato. Le telecomunicazioni, legate a procedure inadeguate, funzionarono malissimo e non dettero al Comandante della Squadra, con tempestività, le notizie necessarie per farsi un’idea della situazione. Basti pensare che la comunicazione del bombardamento di Genova pervenne alla Squadra poco prima delle ore 10,00, dando così più di un’ora di vantaggio alle navi inglesi.

La presenza in mare del convoglio francese fu un ultimo gravissimo elemento di perturbazione. L’errata segnalazione di un convoglio di 7 piroscafi da carico naviganti a 8 nodi, scambiati per una squadra navale navigante a più di 20 nodi, errore non rilevato né da Supermarina né dagli altri Comandi, compreso quello della Squadra in mare, che pure erano a conoscenza del movimento dei convogli francesi in programma in quel periodo, determinò nell’Ammiraglio Jachino, la decisione di abbandonare la rotta 330° per quella a 30°, che annullò ogni possibilità di incontrare il nemico.

Del resto occorre precisare che posizione del convoglio francese non era incompatibile, per le notizie che se ne avevano, con le supposte posizioni della forza H. Tanto è vero che la forza H incrociò il convoglio, e la suggestiva descrizione che dell’episodio detto il Commodoro del convoglio francese è la seguente:

“”Verso le 11,20 (ora legale francese, corrispondente alle 10,20 reali) percepimmo, verso nord-est un rumore di spari, e vedemmo lampi di cannonate, giudicate di piccolo calibro.”

“Poco dopo ci apparve, uscendo dalla foschia, un’importante forza navale diretta a sud a grande velocità. Era la Squadra britannica che, come sapemmo più tardi, aveva bombardato Genova. C’erano l’Ark Royal, la Renowm, la Malaya, un incrociatore, una unità contraerea, due conduttori di flottiglia e cinque cacciatorpediniere.” (Il conteggio era esatto, due cacciatorpediniere erano stati lasciati, infatti, dall’Ammiraglio Sommerville presso le Baleari per fare segnali R.T. ingannatori, e si riunirono alla forza H poco dopo, sulla rotta di ritorno).

“Erano in volo 6 apparecchi della portaerei. Dopo varie evoluzioni, la forza navale assunse una direttrice di marcia verso ponente di prua al convoglio e distaccò un cacciatorpediniere per identificarci e chiederci, passando a portata di voce, la nostra provenienza e la nostra destinazione. Le navi britanniche passarono di controbordo a brevissima distanza, e qualche cacciatorpediniere sfilò in mezzo ai piroscafi; poi tutto il gruppo sparì verso ponente. Era da poco passato il mezzogiorno.””

Nelle azioni aeree di quel giorno furono impiegati, da parte nostra, 191 velivoli, compresi quelli da ricognizione.

Naturalmente, nella assoluta ignoranza della posizione del nemico, le formazioni mandate ad attaccarlo vagarono invano per il cielo, o, se la presero, fortunatamente senza esito, con bersagli errati, come il solito convoglio francese attaccato da 5 velivoli alle 15,00, o con due MAS (scambiati per incrociatori) attaccati alle 13,45, mentre erano in navigazione verso La Spezia. Solo una pattuglia di BR 20 del 43° Stormo riuscì, alle ore 13,00 ad avvistare ed attaccare, senza esito, la formazione inglese, lanciando quattro bombe di poppa alla Ark Royal. Se questi aerei avessero lanciato subito il segnale di scoperta i nostri Comandi avrebbero avuto qualche elemento in più per localizzare il nemico. Invece gli equipaggi dettero notizia dell’eseguito attacco solo dopo essere rientrati all’aeroporto e la Squadra venne a conoscenza dell’episodio dopo due ore e mezza.

Anche in questa occasione si rivelò l’utilità per una forza navale, di possedere una portaerei ed una efficiente ricognizione aerea dipendente direttamente dai Comandi Navali.

Le nostre unità rientrarono a Napoli il mattino del giorno 11. La sera stessa ripartirono per La Spezia. 

 

LA SITUAZIONE NEI PRIMI MESI DEL 1941 

All’operazione di Gaudo ed alla conseguente battaglia di Capo Matapan, la Doria non prese parte (né vi prese parte la Cesare, l’altra corazzata di vecchio tipo in quel momento efficiente). Ad essa fu destinata la sola Vittorio Veneto che, per la velocità e la sua potenza di fuoco, era più adatta al carattere di improvvisa scorreria contro il traffico nemico che doveva avere l’operazione.

Nell’occasione la Vittorio Veneto venne silurata e la Squadra navale rimase con le uniche Doria e Cesare efficienti. Ai primi di maggio furono pronte la Littorio e la Duilio, ma quest’ultima dovendo terminare il nuovo addestramento dell’equipaggio, poté essere considerata veramente efficiente solo a fine giugno.

Si riteneva d’altra parte, che le sole corazzate idonee, per analogo armamento e superiore velocità, ad affrontare con successo le corrispondenti inglesi, fossero le corazzate della classe “Littorio” Le corazzate tipo “Cavour” e “Doria” rimodernate furono infatti, dalla metà del 1941 in poi, destinate prevalentemente alla scorta dei convogli per l’Africa settentrionale. La fine della guerra in Grecia, l’occupazione di Creta e le pesanti perdite subite in quell’occasione dalla Mediterranean Flee, compensarono in parte la nostra sfavorevole situazione navale in quel periodo.

Tuttavia la prevalenza della Flotta inglese nel Mediterraneo, anche prima di quegli avvenimenti, era divenuta più sensibile anche in conseguenza del rafforzamento di Malta, dopo la pressione aerea su quella base. Gli inglesi poterono compiere azioni di sorpresa contro il nostro traffico marittimo e il bombardamento di Tripoli del 21 aprile 1941, compiuto da tre corazzate, con l’appoggio di una portaerei, due incrociatori e numerosi cacciatorpediniere. La Mediterranean Fleet rientrò ad Alessandria il giorno 23, dopo essere stata 5 giorni in mare indisturbata.

In occasione dell’operazione inglese “Tiger” (6/10 maggio 1941), il solito trasferimento di forze da Gibilterra ad Alessandria e contemporaneo rifornimento di Malta, la Duilio che era a Napoli (insieme alla Cesare), fu pronta a muovere, ma non prese il mare. Le condizioni meteorologiche avverse favorirono notevolmente gli inglesi che persero un solo piroscafo per urto contro una mina.

La Doria e la Duilio non ebbero neppure parte nelle uscite in mare della nostra Squadra per contrastare le successive operazioni inglesi “Substance” (dal 21 al 27 luglio 1941 – convogliamento attraverso il Mediterraneo), “Mincemeat” (dal 22 al 26 agosto 1941 – azione dimostrativa e posa di mine in Tirreno), “Hailberd” (dal 24 al 30 settembre 1941 – convogliamento fra Gibilterra e Malta). In essere furono impiegate le corazzate Littorio e Vittorio Veneto. 

 

LA SCORTA DEI CONVOGLI 

Nell’ultimo periodo del 1941 il problema del trasferimento dei rifornimenti in Libia si era fatto grave. Le perdite di navi e di materiali da nulle che erano state in agosto, erano venute via via aumentando fino a raggiungere il 63% in novembre (cifra composta dal 42% dei carichi solidi e dal 92% dei carichi liquidi). Gli inglesi prendevano di mira soprattutto le nostre petroliere, allo scopo di privare le forze italo-tedesche in Libia e le forze aeree colà dislocate, dell’indispensabile carburante. Il poco carburante che giunse in Libia nel novembre del 1941 fu trasportato da navi da guerra. Dopo la perdita, sempre in novembre, di un intero convoglio di 7 mercantili, benché fosse fortemente scortato (il convoglio fu attaccato di notte con l’ausilio del radar, dalla forza K dislocata a Malta) e le perdite subite nelle forze di scorta nel tentativo, pressoché fallito, di far passare un convoglio successivo, si provò ad adottare il sistema di numerosi piccoli convogli contemporaneamente in moto. Anche tale tentativo non dette i risultati sperati. Il 29 novembre 1941 un altro gruppo di cinque convogli di un singolo piroscafo ciascuno, prese il mare con la scorta strategica di quattro incrociatori, di nove cacciatorpediniere e della Duilio. La forza K anche questa volta attaccò ed affondò una nostra petroliera e un cacciatorpediniere di scorta. Nella notte a fra il 13 e il 14 dicembre fallì, con la perdita delle due navi, il tentativo di far giungere in Africa un modesto quantitativo di carburante caricato sui due incrociatori leggeri: Da Barbiano e Di Giussano.

Sempre in dicembre e sempre per l’assoluta necessità di far giungere rifornimenti in Libia, si formò un convoglio di quattro piroscafi alla cui scorta diretta, cioè facente parte del convoglio stesso, fu destinata la Duilio con tre incrociatori leggeri e dieci cacciatorpediniere. Alla protezione indiretta del convoglio parteciparono la Littorio, la Cesare e la Doria, due incrociatori pesanti e dieci cacciatorpediniere. Avrebbe dovuto esserci anche la Vittorio Veneto se non fosse stata colpita da un siluro mentre, con la Littorio, attraversava lo stretto di Messina diretta a Taranto per l’operazione.

Tale operazione di convogliamento ebbe il nome di “M.41” e portò ad uno scontro navale denominato “primo scontro della Sirte”. Infatti contemporaneamente al nostro convoglio, si trovava in mare una forza inglese che proteggeva il viaggio di un piroscafo diretto a Malta, e che era all’oscuro della presenza nelle medesime acque della nostra Squadra. L’avvistamento avvenne quasi a notte, e il tiro, iniziato dalla Littorio alla distanza di 32.000 metri, durò solo 11 minuti; non ebbe conseguenze per le condizioni di scarsa visibilità in cui fu effettuato.

I nostri incrociatori si avvicinaro a 25.000 metri da nemico, ma il contatto venne rotto per l’oscurità, senza che la Littorio avesse potuto sfruttare la sua maggiore velocità, per mantenersi in formazione con le più lente Cesare e Doria, che, d’altronde, non spararono un colpo.

Il convoglio comunque giunse indenne a destinazione, e fu un successo. Le nostre navi maggiori rientrarono a Taranto il 19 dicembre.

L’Ammiraglio Bergamini, che dal 12 gennaio 1941 fu comandante della 2^ Squadra con insegna sulla Duilio, aveva sfruttato le recenti esperienze per studiare un nuovo sistema di protezione denominato “a scorta diretta” incorporato nel convoglio e composto anche di navi maggiori. Tale sistema consisteva nel tenere nelle immediate vicinanze del convoglio nelle ore diurne e nelle stessa formazione del convoglio di notte, una o più corazzate del tipo rimodernato, capaci di fronteggiare in condizioni di superiorità qualunque attacco di forze leggere avversarie.

Alle corazzate da 35.000 tonnellate era riservato il compito della protezione strategica nel caso che si sapesse che anche la Mediterranean Fleet fosse uscita in mare. Le corazzate incorporate nel convoglio, di notte, avrebbero potuto concorrere efficacemente alla difesa contraerea.

Tale sistema, messo in pratica nell’operazione M.43, effettuata dal 3 al 6 gennaio 1942, per trasferire tre convogli, per un totale di 6 navi, a Tripoli, si dimostrò efficace. A questa operazione prese parte la Duilio, che, con tre incrociatori, costituì la scorta diretta, mentre la doria, la Cesare e la Littorio, costituirono la scorta indiretta.

Con quest’ultima operazione si concluse l’attività bellica degna di nota della Doria. Per tutto il resto del 1942 e del 1943 fino all’armistizio, la nave rimase a Tarnto partecipando soltanto alla difesa antiaerea della base. La Duilio continuò invece la sua attività.

Era ripresa intanto l’operazione di neutralizzazione di Malta da parte delle forze aeree tedesche e italiane. Le perdite del nostro traffico marittimo erano diminuite sensibilmente con la rinforzata protezione dei convogli e con la neutralizzazione di Malta. Si ridusse quindi la necessità di far partecipare sempre le navi maggiori alla scorta diretta, anche nell’intento di risparmiare la nafta che cominciava a scarseggiare.

La Duilio partecipò ancora a due importanti operazioni di scorta ai convogli.

La prima denominata T.18, che si svolse fra il 22 e il 25 gennaio 1942, consistette nel condurre a Tripoli 5 motonavi scortate da 6 cacciatorpediniere e due torpediniere. La Duilio con 4 cacciatorpediniere costituirono la copertura. Il convoglio si mantenne fuori del raggio di azione degli aerei di Malta, e la Duilio lo abbandonò a notte, restando ad incrociare a 200 miglia da Malta per poi rientrare a Taranto il mattino del 25. Gli incrociatori, a loro volta; abbandonarono il convoglio a 60 miglia da Tripoli, quando ormai quest’ultimo era al sicuro sotto la copertura degli aerei degli aeroporti libici. Le navi da carico giunsero a destinazione, ma la motonave Victoria, carica di truppe, sotto pesanti attacchi aerei subiti nella sera del 23, fu affondata. Truppe ed equipaggio furono recuperati dai cacciatorpediniere di scorta.

La seconda operazione denominata K.7 si svolse fra il 21 e il 24 febbraio 1942. Due convogli di 6 piroscafi presero il mare diretti a Tripoli sotto la scorta di 12 siluranti, della Duilio con quattro cacciatorpediniere e di tre incrociatori con tre cacciatorpediniere. L’operazione si svolse come la precedente. La Duilio scortò i due convogli riuniti, a 180 miglia da Malta, fino alla sera del giorno 22, lasciandoli poi sotto la protezione degli incrociatori fino all’inizio delle rotte costiere per Tripoli. La Duilio rientrò a Taranto alle ore 01,40 del giorno 24.

La mancata reazione nemica, in quest’ultimo caso sfavorita anche dalle cattive condizioni atmosferiche, dimostrava che la situazione era nettamente migliorata. Il successivo convoglio, inviato in Libia con l’operazione U.5, nei giorni fra il 7 e l’11 marzo 1942, fu affidato alla scorta di soli incrociatori e siluranti.

Frattanto, mentre l’inizio del 1942 si presentava difficile per le posizioni inglesi ne Mediterraneo (grave danneggiamento della Valiant e della Queen Elisabeth ad Alessandria il 19 dicembre 1941, perdita della Barham il 25 novembre 1941, neutralizzazione di Malta, controffensiva italo-tedesca in Cirenaica e successiva avanzata in Egitto), alle forze leggere della Mediterranean Fleet fu riservato il compito di far arrivare a Malta i rifornimenti necessari per la sua sopravvivenza. Le maggiori operazioni di rifornimento furono eseguite in coincidenza con le nostre dirette verso la Libia.

Il 14 febbraio 1942, per contrastare un tentativo inglese, poi fallito, di far giungere due convogli a Malta, la Duilio uscì da Taranto insieme ad altre importanti forze navali. La certezza che non vi fossero in mare navi da battaglia avversarie, indusse Supermarina ad ordinare il rientro dell’unità dopo circa un’ora di navigazione.

Nei mesi successivi, aprile, maggio, giugno, la situazione del nostro traffico con la Libia migliorò notevolmente, coincidendo con la pressione aerea su Malta. Ciò permise alle truppe dell’Asse in Africa settentrionale di passare all’offensiva che portò alla riconquista di Tobruk ed alla avanzata fino ad El Alamein.

La Duilio non prese parte alle operazioni navali in coincidenza di tentativi inglesi di far giungere dei rifornimenti a Malta, che portarono agli scontri della 2^ sirte (22 marzo), di “mezzo giugno” e Pantelleria (14-15 giugno), perché ad esse parteciparono solo le corazzate da 35.000 tonnellate Vittorio Veneto e Littorio. Le inferiori qualità belliche delle corazzate di vecchio tipo rispetto alle nuove, soprattutto come armamento e velocità, facevano sì che esse fossero ormai considerate più un impaccio che un sensibile rafforzamento di una formazione navale omogenea.

Per tutto il resto del 1942 le uniche uscite in mare della Duilio avvennero in occasione di esercitazioni. La nave fu dislocata fra le basi di Taranto e di Messina. Nel 1943  invece rimase ferma a Taranto, impegnata nella difesa della piazza.

D’altra parte, per l’esaurimento delle scorte di nafta, tutta l’attività delle nostre navi maggiori fu paralizzata dalla seconda metà del 1942 fino al giorno dell’armistizio. 

 

L’ARMISTIZIO 

L’8 settembre 1943 la 5^ Divisione navale, costituita da Duilio e Doria, era a Taranto al comando dell’Ammiraglio Da Zara, che aveva alle sue dipendenze anche gli incrociatori Cadorna (Contrammiraglio Galati), Pompeo Magno e Scipione Africano. Il mattino del 9 settembre 1943, mentre era in corso una riunione nella quale i comandanti delle varie unità propendevano per la decisione di affondare le navi, giunse l’ordine di partire per Malta, in esecuzione delle clausole armistiziali. “Da clausole armistizio est esclusa cessione navi et abbassamento bandiera”: questa sola precisazione relativa ai termini della resa, per il resto ignoti, persuase tutti che sull’amor proprio di ciascuno doveva prevalere il sentimento dell’obbedienza agli ordini del re e del governo.

La partenza avvenne fra le 16,18 e le 17,00, mentre era in vista la Forza navale inglese che scortava il convoglio di truppe diretto a Taranto. Alle 18,56 la formazione fu attaccata da 4 cacciabombardieri tedeschi che si lanciarono in picchiata sulla Duilio, sganciando bombe a poche metri dalla nave che non subì danni. Le navi reagirono con il fuoco contraereo. Alle 09,30 del giorno successivo un cacciatorpediniere inglese si mise di prora alla formazione raggiunto nel pomeriggio da 8 motosiluranti che scorarono le nostre navi fino a Malta.

Davanti a La Valletta salirono sulla Duilio alcuni ufficiali inglesi con dei marinai armati, latori di una lettera del Capòo di Stato Maggiore della base di Malta contenente le condizioni da eseguire per rendere inoffensive le navi: asportazione dei congegni di chiusura dei cannoni, meno quelli antiaerei, messa fuori servizio degli apparati radiotelegrafici, installazione a bordo di una guardia armata inglese. L’Ammiraglio Da Zara accettò tali richieste, che si ridussero, in realtà, a delle semplici formalità. Il giorno 11 l'Ammiraglio Da Zara fu ricevuto dall’Ammiraglio Cunningham, che gli lesse un messaggio del Generale Eisenhower, il quale esprimeva il suo apprezzamento per la lealtà con cui la flotta italiana aveva ottemperato alle clausole dell’armistizio, e il suo rincrescimento per la perdita della Roma.

L’Ammiraglio Cunningham disse che non era sua intenzione tenere delle guardie armate di marinai inglesi a bordo delle nostre navi, e che pertanto le avrebbe subito ritirate. Le misure per disarmare le navi (sbarco di acciarini, inneschi, cariche di distruzione) sarebbero state eseguite sotto la responsabilità dei comandi di bordo.

Mentre le altre navi che erano state internate a Malta rientrarono a Taranto i primi giorni di ottobre del 1943, nell’imminenza della formale dichiarazione di guerra alla Germania, la Doria, la Duilio e la Cesare rimasero nella base inglese, con equipaggi ridotti, fino al giugno del 1944.

La Doria lasciò Malta per prima l’8 giugno 1944, e dopo una lunga sosta ad Augusta e Siracusa, raggiunse Taranto il 14 marzo 1945; la Duilio partì da Malta il 27 giugno 1944 ed arrivò a Taranto il 6 luglio, dopo 8 giorni di sosta ad Augusta. Fino alla fine della guerra le due unità non svolsero che una limitata attività addestrativa con dislocazione a Taranto, Augusta e Siracusa.

Dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943 la Duilio effettuò un totale di 41 missioni: 4 per la ricerca del nemico, 7 per la scorta e protezione del traffico, 8 per trasferimenti, 22 per esercitazioni; percorse 13.127 miglia con 786 ore di moto, consumando 12.876 tonnellate di nafta. Fu inattiva per 235 giorni. Nel periodo dopo l’8 settembre 1943 effettuò 10 missioni di cui 5 per trasferimenti e 5 per esercitazioni per un totale di 2.106 miglia, con 125 ore di moto.

I dati relativi alla Doria, nel primo periodo sono i seguenti: missioni eseguite 36, di cui due per ricerca del nemico, 3 per scorta e protezione del traffico, 13 per trasferimenti e 18 per esercitazioni; percorso 10.257 miglia con 588 ore di moto, consumando 7.564 tonnellate di nafta; rimase inutilizzata per 92 giorni. Dopo l’8 settembre effettuò 11 missioni, due per esercitazioni e 9 per trasferimenti, percorrendo 1.944 miglia con 133 ore di moto.

 

ATTIVITA’ DOPO LA GUERRA 

Nel dopoguerra la Doria e la Duilio rimasero le uniche due corazzate attive lasciate all’Italia. Il loro valore bellico, già ridotto durante gli ultimi anni del conflitto, era ormai nullo. Anche le maggiori potenze navali superstiti prevedevano prossima la radiazione delle loro navi da battaglia ritenute ormai, con i progressi dell’aviazione e delle altre armi, prima fra tutte l’arma nucleare, inutili e dispendiosi colossi.

Per la Marina italiana, data la scarsezza del naviglio superstite, le due navi, con le loro complesse apparecchiature, rappresentavano soltanto un’utile scuola per l’addestramento delle nuove leve con le quali si dovette ricostruire la nuova Marina.

L’attività addestrativa delle due navi, in questo ultimo periodo della loro vita, fu quindi molto intensa. In particolare la Duilio da 1946 al 1953, fu dislocata a Taranto, da dove uscì spesso per compiere numerose esercitazioni anche per le altre Marine della NATO, e per le normali crociere estive e invernali con le altre unità della Squadra. Dal 1° maggio 1947 al 10 novembre 1949 fu sede del Comando in capo delle Forze Navali.

Nel 1953, ormai vetusta, fu trasferita a La Spezia dove rimase inattiva fino al giorno in cui passò in disarmo per la radiazione e la demolizione (16 settembre 1956). La radiazione ufficiale venne effettuata con decreto del Presidente della Repubblica del 3 settembre 1956, il giorno 15 settembre 1956.

La Doria, invece, rimasta ai lavori fino al 1949, fu sede del Comando in Capo delle Forze Navali dal 10 novembre 1949 fino al 9 dicembre 1950 e dal 9 marzo 1951 al maggio del 1953.

In attività di servizio prese parte a numerose esercitazioni con le altre unità nazionali e alleate, ed alle crociere annuali. Successivamente al 1953 rimase a Taranto per l’addestramento dei cannonieri e di altri specialisti.

Passò in disarmo il 16 settembre 1956. Fu radiata dal 1° novembre con decreto de 3 settembre 1956, come la Duilio. Venne successivamente rimorchiata a La Spezia per la demolizione.

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