n. di repertorio SIAE 0001863

 

Bocche di Bonifacio

 

Eravamo in navigazione da diversi giorni, destinazione mare aperto, una delle solite esercitazioni di routine, a cui questa volta partecipava la nave trasporto Sterope, la dovevamo incrociare nelle Bocche di Bonifacio.

L’incrociatore Andrea Doria, su cui io ero imbarcato, era una gran bella nave, anche se, a parer mio, la sovrastruttura era troppo elevata, era comunque bella. Le sue quattro caldaie sviluppavano 60.000 cavalli di potenza su due gruppi turboriduttori.

Come era rigor di logica tutto a bordo procedeva secondo il programma, ogni quattro ore i marinai, i sottufficiali e gli ufficiali si davano il cambio nel turno di guardia. Chi in sala macchine, nelle due centrali di propulsione da dove si controllavano a distanza, ognuna due caldaie e un gruppo di turbine, oltre i macchinari ausiliari. Chi in sala radio, con le cuffie ed il tasto, o addetto alla telescrivente. Chi in C.O.C. (centrale operativa di combattimento) che poi in termini più accessibili era la sala dove erano alloggiati tutti i ripetitori radar, lorenz scott per il tracciamento rotta, e altre apparecchiature di guerra elettronica. Chi al timone con i due ripetitori di bussola a nastro da non perdere d’occhio, pronto a rispondere ad ogni ordine di cambio rotta, chi al giornale di chiesuola per riportare per iscritto tutto quello che veniva detto e veniva fatto, chi al carteggio nautico, chi di vedetta, chi in comando di guardia, chi al rilevamento e chi alle segnalazioni luminose.

Io ero addetto appunto a quest’ultime, ma sarei montato di guardia a mezzanotte fino alle quattro insieme al mio compagno di turno, Gennaro, di Napoli.

A bordo dell’Andrea Doria si mangiava molto bene, con quattro primi e quattro secondi, a scelta, dopo cena, il cappellano militare come ogni sera, ottemperava alla sua missione, quando non c’era da dir messa o dare l’estrema unzione, proiettando uno dei soliti films che prima di prender mare sceglieva presso il deposito in arsenale.

Finito il film io e Gennaro andammo a poppetta per prendere un po’ d’aria fresca, il rumore degli assi, anche se la velocità era di sedici nodi, nel parlare ci faceva alzare il tono della voce. Il movimento della nave era dolce e piacevole.

A detta di ogni marinaio nelle Bocche di Bonifacio il mare è sempre agitato perché vi si incrociano le confluenze dei venti a volte molto forti, quella sera, invece, luna piena, bava di vento e mare calmo.

Essendo una nave militare, il Doria, aveva accesi soltanto i fanali di via, rosso a sinistra, verde a dritta, rosso in testa d’albero, e luce bianca al coronamento di poppa.

Mentre, non ci dimentichiamo che all’esercitazione partecipava anche lo Sterope, quest’ultimo doveva viaggiare, in quella circostanza, con le luci oscurate, perciò tutto spento.

A mezzanotte meno dieci io e Gennaro salimmo in plancia per dare il cambio ai nostri compagni. Ero contento di fare quel turno perché alle due di notte ci sarebbe stata la pizza.

A bordo avevamo il forno che ci forniva il pane sempre fresco e appunto alle due di notte la pizza per chi era di guardia.

Nei momenti che eravamo inattivi aiutavamo l’ufficiale di rotta prendendo i rilevamenti stellari o terrestri per aggiornare la nostra posizione sulla carta nautica e supportavamo le vedette per la scoperta ottica di superficie.

A me piaceva molto stare al timone, governare ottomilacinquecento tonnellate, per un ragazzo come ero io affascinato da quella vita, era una cosa meravigliosa.

Ricevute le consegne dal personale smontante e preso posto, giubbotto di navigazione indossato, un buon binocolo sul petto, cominciavamo il nostro turno di guardia pronti ad attivare i panerai per eventuali segnalazioni luminose in morse ottico.

La notte era limpida la luna illuminava tutto il quadrante, velocità sedici nodi per centosessanta giri sugli assi, vento relativo ventisei nodi per un vento assoluto di dieci nodi, pressione atmosferica millediciotto millibar, visibilità ottima, gran bella notte.

Io e Gennaro eravamo fuori sull’aletta di plancia sinistra, quando all’improvviso, scorgemmo in rotta di collisione, la sagoma nera dello Sterope, distava da noi cinque miglia, sembrano tante a dirle, ma sul mare sono poche, subito avvertimmo l’ufficiale in comando di guardia, questi dette immediatamente l’ordine al timoniere di dare dieci gradi di barra a dritta in rotta anticollisione, il timoniere istantaneo rispose all’ordine, il Doria sotto la spinta dei sedici nodi e con i dieci gradi di barra a dritta dati tutti in una volta, sbandò di cinque gradi, niente di preoccupante, poi, all’ordine alla via così, riprese l’assetto precedente all’accostata.

Il personale di guardia in plancia dello Sterope non si era reso conto della tragedia che si era evitata, si accorsero di noi quando ci defilarono a fianco distanti da noi un centinaio di metri e il nostro comandante, mediante il megafono, lo fece notare loro.

Quella sera nelle Bocche di Bonifacio, bava di vento, il mare era calmo, la luna illuminava il quadrante, notte chiara.

Non solo la forza degli elementi rende pericolosa la navigazione.

 

Pietro Cristini