n. di repertorio SIAE 0001863

 

Le solite cose 

Quel mattino uscii di casa alla solita ora, un freddo bestia e una pioggerellina fine e fitta che penetrava attraverso gli indumenti.  Avvertivo nell’aria un odore di smog bagnato misto ad un accenno di odore di terra bagnata. Non erano più i vecchi tempi, quando a scuola, dietro i banchi, le scolaresche svolgevano il tema, “l’autunno”, in cui esprimevano tutte le loro infantili sensazioni piene di immaginazione pura.

Con la mente a quei vecchi ricordi che mi ringiovanivano nell’anima e mi rinvigorivano l’aspetto, mi incamminavo verso l’edicola per acquistare il solito giornale “Le solite cose”.

Compratolo, mi resi conto che non erano “le solite cose”, infatti, il titolo di prima pagina titolava, “Il governo del Paese si dimette per presa coscienza”.

All’interno dell’articolone, trentotto colonne in una pagina, vi erano riportate tutte le motivazioni di questa destituzione di massa.

Nonostante che la pioggerellina continuava a bagnarmi, fortunatamente avevo la cerata che usavo a bordo, con il cappuccio e lunga fino ai piedi, presi a leggere il contenuto dell’articolone.

In una seduta plenaria, il governo si era riunito per decidere su una nuova forma di tassazione da propinare alla popolazione del Paese. Dopo sedici ore di seduta, sommersi da innumerevoli carte, cartine, cartelline, cartellone, faldoni, che consultavano alla ricerca di un motivo illogico di giustificata, a parer loro tassazione, non usciva niente dalle loro fumose tempie, e più cercavano e più fumavano, fumavano di tutto, sigarette, pipe, sigari, sigaroni, canne, cannoni e tante pippate. Tutta la sala della consulta era ormai impregnata di vapori sudacei puzzolenti evaporati da corpi che non avevano mai sopportato un sforzo fisico in pro al prossimo. E perciò tutta l’aria contenuta nell’ambiente del parlamento sapeva di stantio, di vecchio, di una muffa anomala, deprimente, opprimente, soffocante, omicida.

Insomma erano alfine passate 245 ore, certo non tutte d’un fiato, senza un nulla di fatto. Ogni ora i parlamentari si concedevano una pausa di quindici minuti, come prevedeva la legge emanata il giorno prima della seduta, che trascorrevano nelle sale attigue alla grande sala, saloni enormi con bar, ristoranti, pub, e postriboli con donne devote ai ministri e infedeli ai mariti.

Comunque stando alle statistiche il tutto si sarebbe risolto entro le prossime ventiquattro ore, dato che, successivamente a queste ci sarebbero poi stati il sabato e la domenica.

Andarono avanti senza neanche più sfruttare il quarto d’ora di riposo fra un’ora e l’altra, e arrivarono alla conclusione unanime, tutti, ormai, sempre più convinti nella loro assurda personalità, che non c’era più niente da sfruttare per poter creare una nuova forma di tassa. Durante la loro carriera nel governo del Paese, se le erano inventate tutte, dalla tassa sui pannolini per infanti, alla tassa sull’impronta di rossetto lasciato sul bordo della tazzina di caffè, dalla tassa sullo zerbino, alla tassa sulla cuffia da notte. E perciò, a questo punto decisero, con grande dispiacere, pianti, dentiere strappate dai denti, capelli scomposti dopo anni di gel, strangolamenti dei collaboratori accusati di non avere più idee per fregare la gente, di dimettersi tutti insieme unanimamente per presa coscienza, non per aver tassato troppo il popolo, ma perché non riuscivano più a trovare idee che permettessero loro di poter emanare nuove tasse strizzasoldi.

Finito di leggere l’articolone mi resi conto che il momento non era poi tanto roseo come poteva sembrare a prima vista.

La pioggerellina era sempre fitta e fine e faceva un freddo bestia.

 

Pietro Cristini